
Morte, controllo sociale e possibilità di benessere ai tempi del COVID-19

Auguri ad una straordinaria artista.
Loretta Goggi
Chi di voi ha riconosciuto la copertina di questa serie animata dei primi anni Novanta? Sto parlando de “L’albero della vita“, l’indimenticabile serie sull’educazione sessuale pensata per i bambini tra i 4 e i 12 anni, prodotta da uno studio di animazione francese, che trattava i diversi aspetti della sessualità e della riproduzione, suddivisi in brevi capitoli: la serie, pur non essendo passata in Tv, ebbe un discreto successo all’epoca e i suoi VHS vennero distribuiti in allegato con il quotidiano La Repubblica nel 1993.
Nel corso degli anni, è diventata un cult, come le avventure dei fantastici personaggi di “Esplorando il corpo umano” – altro capolavoro dell’animazione prodotto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, trasmessa su Italia Uno con il titolo di “Siamo Fatti Così”, che cercava di fornire in maniera semplice e divertente le informazioni sul nostro corpo.
Allo stesso modo, “L’albero della vita” ha cercato di raccontare l’educazione sessuale utilizzando i criteri scientifici e aggiungendo elementi di fantasia per renderla più adatta ai bambini.
La struttura narrativa è semplice, immediata e soprattutto affascinante, perché ricalca quella delle fiabe:Anna e Paolo, i protagonisti, sono cugini tra loro e si fanno raccontare dalla nonna perché uno di loro ha il pene e l’altra la vagina; come tutti i bambini, sempre più interessati e incuriositi, proseguono con le domande e ascoltano le risposte della nonna, che usa un linguaggio semplice e chiaro fin nel dettaglio, coronato da orsetti, alieni, astronavi e quadri rinascimentali.
Una modalità certamente ingenua, probabilmente banale oggi, tanto per un ragazzo delle medie, figuriamoci per uno delle superiori; ma quello che vorrei sottolineare è che si affrontava in maniera sincera un argomento come quello dell’educazione sessuale per bambini, che è uno di quei temi eternamente e incomprensibilmente controversi, soprattutto in Italia, dove le istruzioni fornite su questa materia dalle scuole elementari, medie e superiori, sono pressoché assenti.
Così, mentre scorrono le immagini di un cartone animato e si ascolta una favola, accompagnata a volte da immagini psichedeliche (associazione clitoride – delfini), i bambini scoprono il mondo della realtà sessuale, sentendo parole come “spermatozoi”, “cromosomi”, ed entrano nel “mistero” della nascita dalla fecondazione fino ai primi istanti di vita.
L’attività sessuale, quindi, vista come una cosa “…del tutto normale, ed è anche piuttosto piacevole”, come la nonna la descrive ad Anna e Paolo: insinuare che la sessualità sia legata al piacere anziché alla vergogna in un cartone per bambini?
Pura avanguardia…da non perdere
“Ogni manifestazione di rabbia, distinta dalla rabbia che riconosco, contiene già una riflessione su di essa, ed è questa riflessione che dà all’emozione la forma altamente individualizzata che è significativa per tutti i fenomeni di facciata. Mostrare la propria rabbia è una forma di auto-presentazione: decido cosa è adatto per l’atteggiamento. “
– Hannah Arendt, La vita della mente (Pensare)
Siamo di fronte a un bivio, costretti a prendere una decisione difficile nelle nostre vite. Il criterio convenzionale enuncia: “Non pensare troppo e segui il tuo cuore”. In altre parole: non importa quanto sia calcolabile e ragionata una possibile scelta, se ti senti diversamente, dovresti intraprendere il sentiero verso il quale il tuo cuore si dirige. L’assunto è che le nostre emozioni ci dicono chi siamo veramente, che in fondo a noi stessi c’è un vero sé. Nel sentimento, sentiamo noi stessi. Chi è quel sé? Dove risiede?
Arendt parla raramente di corpi umani e / o sesso. Uno dei motivi dell’assenza di discussioni sul sesso nel suo lavoro ; tale assenza tematica risiede nella sua netta distinzione tra i regni “pubblico” e “privato”. Il primo è lo spazio della rivelazione attraverso le parole e le azioni, e il secondo è quello del nascondimento. La libertà umana può essere trovata nella sfera pubblica, un principio che valica la riduzione alla legge di natura, cioè alla legge della causalità. Se tutto è decifrato per causalità, non c’è spazio per la libertà umana, che per definizione deve essere spontanea. Al contrario, ciò che si trova nel regno privato ha una stretta affinità con il ciclo della natura. Questo include il sesso e il corpo. Non sorprende che coloro che sottolineano nella Arendt un mancato trattamento positivo riguardo al sesso e al corpo trovano problematica la sua distinzione tra pubblico e privato. Radicano la confutazione nel rifiuto di riconoscere le questioni fisiche come parte del discorso pubblico e si preoccupano per l’assenza di questioni di genere dal suo discorso politico.
Ma da cosa dobbiamo muovere in riferimento del sesso o del corpo per discutere di genere? Se il corpo determina il genere, come possiamo capire la differenza tra un uomo gay e un uomo etero, o una lesbica e una donna eterosessuale? Potrebbe essere che la mente determini ciò che desideriamo? O i nostri corpi modellano fondamentalmente i nostri desideri?
Inoltre, c’è un problema nell’affrontare il problema del genere fondato sul sesso, come suggerisce Judith Butler. Questo riguarda il problema del funzionamento del sesso come norma . Tradizionalmente, le differenze sessuali, maschili e femminili, erano identificate con l’eterosessualità. Il presupposto in questa tradizione è che il sesso determina il genere, cioè la femmina eterosessuale ed omosessuale. Quindi, il sesso fornisce la particolare struttura del pensiero usata per definire il genere, rendendo il sesso la norma contro cui la non-eterosessualità può essere considerata come anormale. In altre parole, il modo in cui pensiamo il sesso crea intrinsecamente un ostacolo al nostro pensiero sul genere. Riconoscendo questo punto di vista, è importante notare che la distinzione pubblico / privato di Arendt rispetto al corpo biologico non significa che dobbiamo rimuovere il genere dal discorso pubblico. Invece ci reindirizza al racconto di Arendt di sentirsi come un modo diverso di concepire il genere e l’identità di genere. Lei scrive:
Senza l’impulso sessuale, derivante dai nostri organi riproduttivi, l’amore non sarebbe possibile; ma mentre l’impulso è sempre lo stesso, quanto è grande la varietà nelle apparenze dell’amore! Per essere sicuri, si può interpretare l’amore come sublimazione del sesso se solo si puntualizza che non ci sarebbe nulla che noi intendiamo come sesso senza di esso, e che senza un intervento della mente, cioè senza una scelta arbitraria tra cosa piace e che dispiace, nemmeno la selezione di un partner sessuale sarebbe possibile.
Arendt non si chiede cosa sia il sesso, né dice che il sesso (il corpo) determina il modo in cui si orientata il desiderio sessuale. Arendt afferma che senza amore, non possiamo comprendere nulla sul sesso; inoltre sottolinea che le nostre emozioni sono intrinsecamente legate al nostro corpo. Quando siamo tristi, sentiamo un dolore nel petto. Quando ci rallegriamo, sentiamo i nostri cuori riscaldarsi. Mentre l’intensità delle esperienze emotive e il modo in cui sono causati varia, le emozioni umane stabiliscono le similitudini attraverso le culture; allo stesso modo, abbiamo una composizione anatomica comune in termini di corpi. L’emozione senza parola rimane solo un gesto corporeo. Ciò che rende un’emozione particolare unicamente mia e segna la mia individualità dalla tua, è l’espressione di quell’emozione. Tale espressione è una scelta deliberata a causa di riflessione riflessiva , che implica la parola.
La particolarità della riflessione del pensiero, come proposto da Arendt, sta nell’enfasi del discorso. Quando rifletto, ho un dialogo silenzioso nella mia mente, un dialogo tra me e me stesso. Il pensiero e la parola sono inseparabili. Senza parole o linguaggio, la persona umana non può pensare. Ma Arendt sottolinea che, in primo luogo, la parola ha lo scopo di essere ascoltata e compresa dagli altri, cioè di costituire una comunicazione. Nel riflettere sulle nostre emozioni, pensiamo a come possiamo comunicare con gli altri i nostri sentimenti. Inoltre, la parola presuppone sempre la comunicazione, quindi in questo processo scegliamo come vogliamo apparire agli altri, cioè “auto-presentazione”. Come appariamo non è la “manifestazione esteriore di una disposizione interiore”. È una scelta con riguarda come vogliamo esistere nella comunità in cui viviamo. (Coloro che hanno familiarità con le opere di Arendt noteranno che quello che lei chiama “riflessione riflessiva” qui è il giudizio del gusto, una nozione che Arendt espone nelle Conferenze sulla filosofia politica di Kant .)
Qualunque sia la tua maschera fisica, stato sociale e / o genere, noi come esseri umani siamo esseri sociali e, per estensione, viviamo sempre in una comunità con gli altri. Significa che “l’auto-presentazione” è una scelta su come si desidera essere visti come membri di una particolare comunità. Pertanto, il criterio per selezionare l’aspetto è il piacere, che è radicato in un gruppo di alterità. Desideriamo che il nostro aspetto si “adatti” affinché il nostro aspetto sia gradito ai membri della comunità. Ecco perché Arendt afferma che le nostre scelte sono predeterminate dalla cultura, “perché desideriamo piacere agli altri”. Tuttavia, facciamo delle scelte per far piacere a noi stessi o per dare un esempio, uno che “persuade ad essere soddisfatto di ciò che ci piace”. Il sentimento di piacere deriva dal nostro desiderio fondamentale di essere accettati e riconosciuti come siamo dagli altri membri di una comunità.
Se una donna, che ama un’altra donna, sceglie di esprimere il proprio sentimento e quindi di apparire come tale, sceglie di essere lesbica. La sua “auto-presentazione”, il prodotto dei suoi pensieri, mediazione tra mente e corpo e la fa apparire come una persona intera, un membro di una comunità, che ama un’altra donna. Desidera essere riconosciuta dagli altri come una persona che ama un’altra donna. Lei vede come la comunità è costruita sulla base dell’eterosessualità e di come le persone non-eterosessuali siano emarginate. Desidera che altri membri della sua comunità siano in grado di vedere in che modo vede la comunità che condividono e desidera che gli altri membri riconoscano il suo sentirsi legittimata nella comunità. La sua espressione di sentimento invita gli altri membri della comunità a vedere dal suo punto di vista e ad esaminare la comunità di condivisione. Facendo così, il suo sentimento le permette di aprire discorsi sul suo genere senza ridursi al sesso puro, un corpo, come norma. Il sé che sentiamo nei nostri sentimenti suggerisce che siamo esseri comunicativi, il che significa che il nostro senso dell’esistenza reciprocamente dipende dagli altri in modo circolare.
“Mi era venuto il dubbio che la filosofia fosse una grande difesa contro la pazzia. [… ] E ancora di questo sono convinto oggi, perché sono convinto che i nevrotici studiano psicologia e gli psicotici filosofia. Perché se noi consideriamo, chi si iscrive a filosofia? Si iscrive a filosofia una persona che vuole risolvere dei problemi, senza andare da qualcuno. [… ] Sotto ogni filosofo sottintendo un folle che vuole giocare un po’ con la sua follia, e al tempo stesso non vuole diventar folle e quindi si arma per tenere a bada attraverso una serie di buoni ragionamenti, che qui si imparano… a tenere a bada la follia.”
Umberto Galimberti
(da una conversazione nel Master in Comunicazione e Linguaggi non Verbali, Università Ca’ Foscari di Venezia, dicembre 2007).
“Socrate diceva non so niente, proprio perché se non so niente problematizzo tutto. La filosofia nasce dalla problematizzazione dell’ovvio: non accettiamo quello che c’è, perché se accettiamo quello che c’è, ce lo ricorda ancora Platone, diventeremo gregge, pecore. Ecco: non accettiamo quello che c’è. La filosofia nasce come istanza critica, non accettazione dell’ovvio, non rassegnazione a quello che oggi va di moda chiamare sano realismo. Mi rendo conto che realisticamente uno che si iscrive a filosofia compie un gesto folle, però forse se non ci sono questi folli il mondo resta così com’è… così com’è. Allora la filosofia svolge un ruolo decisamente importante, non perché sia competente di qualcosa, ma semplicemente perché non accetta qualcosa. E questa non accettazione di ciò che c’è non la esprime attraverso revolverate o rivoluzioni, l’esprime attraverso un tentativo di trovare le contraddizioni del presente e dell’esistente, e argomentare possibilità di soluzioni: in pratica, pensare. E il giorno in cui noi abdichiamo al pensiero abbiamo abdicato a tutto.“
Umberto Galimberti
(dall’incontro Intellégo – Percorsi di emancipazione, democrazia ed etica di Copertino, 25 gennaio 2008)
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Ophélie est un des personnages de Hamlet, “revenge tragedy” de Shakespeare publiée vers 1601. Fille de Polonius et soeur de Laërte, elle va sombrer dans la folie lorsque Hamlet (son amant qui l’a délaissée) assassine…
Per comprendere la firma archetipica della rosa, è necessario sospendere le proprie connessioni intellettuali e culturali e semplicemente essere aperti alla “presenza” della rosa. Questo fiore popolare ha una simbologia complicata con significati paradossali. È allo stesso tempo un simbolo di purezza e passione, sia la perfezione celeste che il desiderio terreno; sia verginità che fertilità; sia morte che vita. La rosa è il fiore delle dee Iside e Venere, ma anche il sangue di Osiride, Adone e Cristo.
Originariamente un simbolo di gioia, la rosa in seguito ha indicato la segretezza e il silenzio, ma ora è solitamente associata nella mente comune con l’amore romantico. Ma la rosa è molto più significativa, molto più antica e profondamente radicata nell’inconscio umano di quanto la maggior parte della gente creda. In Europa sono stati trovati fossili di rose di 35 milioni di anni fa e le ghirlande di rose pietrificate sono state dissotterrate dalle più antiche tombe egizie. Circa gli elementi numerologici della rosa essa rappresenta il numero cinque. Questo perché la rosa selvatica ha cinque petali, e i petali totali sulle rose sono in multipli di cinque. Geometricamente, la rosa corrisponde al pentagramma e al pentagono. Cinque rappresenta il quinto elemento, la forza vitale, il cuore o l’essenza di qualcosa. In un senso assoluto, la rosa ha rappresentato l’espansione della consapevolezza della vita attraverso lo sviluppo dei sensi. Le varietà a sei petali indicano equilibrio e amore; varietà a sette petali indicano passione trasformativa; e rare rose a otto petali indicano rigenerazione, un nuovo ciclo o un livello superiore di spazio e tempo.
La rosa è uno dei simboli fondamentali dell’alchimia e divenne la base filosofica dell’alchimia rosacrociana. Era così importante per gli alchimisti che ci sono molti testi chiamati “Rosarium” (Rosario), e tutti questi testi trattano della relazione tra il re e la regina archetipici. Abbiamo notato il rosario di Jaros Griemiller; un altro importante rosario è stato preparato dall’alchimista Arnold de Villanova.
Nell’alchimia, la rosa è principalmente un simbolo dell’operazione di Congiunzione, il Matrimonio Mistico degli opposti. Rappresenta la rigenerazione delle essenze separate e la loro resurrezione su un nuovo livello. Nella pratica della psicoterapia , Carl Jung ha discusso le basi archetipiche dell’amore tra le persone in termini di rosa: “La totalità che è una combinazione di ‘io e te’ fa parte di un’unità trascendente la cui natura può essere afferrata solo in simboli come la rosa o il coniunctio(Congiunzione). “
Nell’alchimia la rosa rossa è considerata un principio maschile, attivo, espansivo dello spirito solare (zolfo), in cui la rosa bianca rappresenta il principio femminile, recettivo, contrattivo dell’anima lunare (Sale). La combinazione di rose bianche e rosse (spirito e anima) simboleggia la nascita del figlio del filosofo (Mercurio). Durante l’operazione di Congiunzione, la relazione tra la rosa rossa maschile e la rosa bianca femminile è la stessa relazione raffigurata nelle immagini alchemiche del Re Rosso e della Regina Bianca o del Sole Rosso e della Luna Bianca. Le rose bianche erano legate alla fase bianca del lavoro ( albedo ) e alla pietra bianca della moltiplicazione, mentre la rosa rossa era associata alla fase rossa e alla pietra rossa della proiezione.
Particolare di una statua vivente che opera nei pressi della Loggia degli Uffizi a Firenze.
La singola rosa dorata (o dorata) è un completamento simbolico della Grande Opera o di una realizzazione consumata nell’alchimia personale o di laboratorio. I Papi erano soliti benedire una Rosa d’Oro la quarta domenica di Quaresima, come simbolo del loro potere spirituale e la certezza della resurrezione e dell’immortalità. In termini alchemici, la rosa d’oro significa un matrimonio riuscito di opposti per produrre il Bambino d’oro, l’essenza perfezionata del re e della regina.
Poiché Maria è il modello cristiano di unione con Dio, la rosa e il rosario sono diventati simboli dell’unione tra Dio e l’umanità. Scene di Maria in un roseto o sotto un pergolato di rose o davanti a un arazzo di rose rinforzano questa idea. Maria tiene una rosa e non uno scettro nell’arte del Medioevo, il che significa che il suo potere deriva dall’amore divino. Il roseto in disegni alchemici è un simbolo dello spazio sacro. Potrebbe significare una camera di meditazione o tabernacolo, un altare, un luogo sacro in natura o il paradiso stesso. In tutti questi casi, il roseto è la mistica camera nuziale, il luogo del matrimonio mistico.
La rosa ha evidenti connessioni con l’energia sessuale nell’alchimia. Il “sangue color rosa del redentore alchemico” o la “tintura rossa calda” erano riferimenti ad effetti curativi di energia sessuale purificata (alchemicamente distillata o sublimata). Ad esempio, l’alchimista rinascimentale Gerhardt Dorn chiama sangue color rosa un vegetabile naturae mentre il sangue normale era una materia vegetale . In altre parole, il sangue color rosa porta l’essenza naturale o l’anima, mentre il sangue ordinario funziona semplicemente a livello fisico per fornire ossigeno alle cellule, ecc. Questo è il significato della frase alchemica, “L’anima della pietra è nella sua sangue “, o come diceva Carl Jung:” Il colore rosso rosato è legato all’acqua permanentee l’anima, che viene estratta dalla prima materia . “La spada e il coltello, simboli dell’operazione di Separazione, hanno un tale potere nell’alchimia in parte a causa della loro capacità di attingere sangue.
Nell’alchimia spirituale, la singola rosa rossa rappresenta il centro mistico di una persona, il suo cuore di cuori – la propria vera natura. Rappresenta anche il processo di purificazione per rivelare la propria essenza o la “perla oltre il prezzo” interiore. L’alchimista spirituale sufi Rumi descrisse questa idea quando scrisse: “Nell’infinito deserto del dolore più secco, ho perso la mia sanità mentale e ho trovato questa rosa “. Come simbolo del Matrimonio Mistico a livello personale, la rosa rossa rappresenta un tipo speciale di amore in cui uno “si scioglie” nella bellezza di un altro, e la vecchia identità si arrende a quella dell’amata o di un’identità superiore all’interno se stessi. In questo senso, la rosa è un simbolo di resa completa e trasmutazione permanente.
L’alchimista Daniel Maier discute il simbolismo della rosa nella sua Septimana Philosophica : “La rosa è la prima, la più bella e perfetta dei fiori. È custodito perché è vergine e la guardia è una spina. I giardini della filosofia sono piantati con molte rose, sia rosse che bianche, i cui colori sono in corrispondenza con oro e argento. Il centro della rosa è verde ed è emblematico del Green Lion [First Matter]. Anche se una rosa naturale è un piacere per i sensi e la vita dell’uomo, a causa della sua dolcezza e salubrità, così anche la Rosa filosofica esalta il cuore e dà forza al cervello. Proprio come la rosa naturale si rivolge al sole e viene rinfrescata dalla pioggia, così la Materia filosofica è preparata nel sangue, cresciuta nella luce, e in e da questi resi perfetti. “
A causa della sua associazione con il funzionamento del cuore, la rosa in alchimia ha finito per simboleggiare i segreti del cuore o cose che non possono essere pronunciate o un giuramento di silenzio in generale. Nella struttura piegata della rosa, il fiore sembra nascondere un nucleo interiore segreto. “Il mistero brilla nel letto di rose e il segreto è nascosto nella rosa”, scrisse l’alchimista persiano del XII secolo Farid ud-din Attar.
Nella ricchissima simbologia medievale la Rosa ha un ruolo di primo piano, tanti erano i significati esoterici o popolari, religiosi o letterari che era chiamata ad incarnare in un intreccio semantico di variabili quali forma, colore, profumo, numero dei petali, presenza di spine. Già nella cultura classica era il corrispondente occidentale dell’asiatico fiore del Loto, entrambi associati per forma alla Ruota, simbolo esoterico tra i più importanti e complessi in tutte le culture del mondo conosciuto. Nell’antico Egitto la Rosa era il fiore consacrato ad Iside, dea della rinascita e personificazione della Natura, del pari era sacro ad Afrodite dea dell’eros e della rigenerazione nel pantheon greco e in quello romano. Proprio da Chartres, contemporaneamente all’evolvere della nuova filosofia della Natura, supportata dalla rilettura di testi dell’antichità classica e della cultura araba, prende il via il processo di trasformazione dei culti pagani della Natura-Grande Madre e allegoria della Femminilità Generatrice, in quello della Vergine, Madre di Dio, ma anche Madre Misericordiosa per tutti gli uomini. Questa traduzione dell’Amore Profano in Amor Sacro ne trasferisce anche i simboli ed ecco che la Rosa, consacrata a Maria, diventa nel personificarla “il Fiore tra i Fiori” e assume il più importante tra i suoi significati nella simbologia medievale. Attraverso le metafore della tradizione biblica, dove nell’Eden il roseto rappresentava Eva e quindi il Peccato, a Maria, l’anti-Eva (non è casuale la salutazione “Ave Maria”, dove il latino Ave è antipodo di Eva), viene dedicata una Rosa senza le spine, segno della fragilità e caducità dell’anima tentata dal peccato, e di colore bianco, indice di purezza, che sostituisce il vermiglio, colore della passione e della vergogna per il peccato commesso. La Rosa bianca, regina dei fiori, emblema della Vergine, Regina dei Cieli, indica la salvazione, la purezza, la devozione. Nel medioevo solo le vergini potevano indossare ghirlande di rose bianche, testimonianza della virtù mariana. Nella letteratura di lode e di preghiera la Vergine Maria viene invocata con appellativi quali “Rosa Mystica”, “Rosa Fragrans”, “Rosa Rubens”, “Rosa Novella”, fino a “Rosa das Rosas”, Rosa tra le rose, superlativo di maestà della “Regina delle regine”. Ma la Madre di Cristo è prima di tutto una madre: pietosa e misericordiosa, intercede presso Dio per tutti i suoi figli sofferenti nell’animo e nel corpo.
Questo aspetto di Maria artefice di salvezza fisica e spirituale, e nella mentalità medievale l’infermità era corollario del peccato, si trasferisce nell’uso della Rosa come talismano contro il male. Se nella medicina è adoperata in varie preparazioni per le sue qualità taumaturgiche, come cura per gli incubi, l’ansia, la vista, la rabbia (rosa canina), la superstizione e la devozione le attribuiscono poteri magici come la capacità di allontanare qualunque malattia: durante le pestilenze che spazzarono l’Europa si portavano indosso rose come presidio e amuleto contro il rischio del contagio. Con i petali di rosa si depurava l’aria e si disinfettava il vestiario.
Moltissime leggende medievali contemplano la Rosa come testimonianza di un intervento miracoloso della Vergine: in una delle Cantigas de Santa Maria del XIII secolo, un monaco dedica quotidianamente alla Madonna cinque salmi, uno per ogni lettera del nome di Maria. Alla sua morte cinque rose crescono sulla sua bocca tra lo stupore dei confratelli. Un simile miracolo avviene nei coevi Les Miracles de Nostre Dame di Gautier de Coinci, in cui un chierico, morto senza confessione, viene sepolto in terra sconsacrata e la Vergine, impietosita, fa nascere una rosa nella sua bocca per dimostrare la propria intercessione. Ancora nelle Cantigas de Santa Maria, un cavaliere devoto, che ogni giorno recitava il rosario su una ghirlanda di rose fresche, si salva dai suoi nemici che, pur avendolo sorpreso in condizioni di svantaggio, vedono al suo posto, per azione divina di Maria, una vergine che intreccia corone di rose e si ritirano disorientati. Una leggenda, che vuole l’etimologia del rosmarino provenire da Rosa Mariae, Rosa di Maria, narra come la pianta avesse in origine fiori bianchi che si tinsero d’azzurro quando la Madonna aprì il proprio manto sull’arbusto.
Un altro simbolo sacro della Rosa è direttamente mutuato dalla sua forma circolare e dalla disposizione dei petali, che come un mandàla, rappresentano l’idea della perfezione e dell’infinito. A questa immagine circolare di perfezione si collega quella della Rosa specchio del Paradiso: Dante nella Divina Commedia vede Maria al centro dei cieli concentrici del Paradiso come Rosa che regna al centro della Rosa. Dal Cerchio alla Ruota, simbolo dello scorrere infinito del tempo e paradigma dell’eternità e dell’Eterno, la Rosa assume nuove valenze simboliche del divenire dell’opera divina e del divenire dell’Opera tout court nel traslato ermetico dell’alchimia. La Rosa, sembiante del lapis philosophum, la pietra filosofale, è uno dei fiori eletti degli alchimisti, i cui trattati hanno titoli come “Roseto dei filosofi”, “Rosarius”, o il “Rosarium” attribuito ad Arnaldo da Villanova. La Rosa bianca era associata alla pietra al bianco della “piccola opera”, mentre la Rosa rossa era collegata alla pietra al rosso della “grande opera”, la Rosa azzurra era la figurazione dell’Impossibile, inoltre ciascuno dei sette petali della Rosa alchemica evocava un metallo, un pianeta o un passaggio dell’Opera.
Legata al cerchio, simbolo del cielo e del disco solare, troviamo un’interessante stilizzazione della Rosa nei rosoni che, insieme alle finestre a feritoia laterali, illuminavano le vaste e scure cattedrali gotiche. I rosoni nel rappresentare, per la loro forma, la bellezza e la perfezione della Creazione, sono altresì proiezioni del mistero di Dio-Luce e Fonte di vita. Queste finestre, porte di comunicazione tra il mondo divino e quello dell’uomo, sono più ampie nella parte rivolta all’interno e più strette in quella che guarda l’esterno, poiché la luce, specchio della Rivelazione Divina, penetra nella chiesa, simbolo dell’interiorità dell’uomo, attraverso piccoli spiragli, ma subito si diffonde nell’esperienza della contemplazione. Vi sono vari tipi di rosoni e ognuno ha un suo significato: a sei petali è associato al sigillo di Salomone, a sette petali indica l’ordine settenario del mondo, a otto petali la rigenerazione, a dodici petali gli apostoli. La disposizione dei tre rosoni nel costante orientamento dellíarchitettura delle cattedrali suggerisce un nesso con la scienza alchemica: nel corso della giornata, seguendo il percorso del disco solare, nei tre rosoni si succedono i colori dell’Opera secondo un processo circolare che va dal nero (il rosone settentrionale mai illuminato dal sole), al colore bianco (il rosone del transetto meridionale illuminato a mezzogiorno) e al colore rosso (il rosone del portale illuminato al tramonto).
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Preziosa perla musicale questa chicca datata 1998 nella quale il cantautore Max Gazzè incentra e sciorina sacri temi esistenziali. Dal testo elaborato e tappeto strumentale accorto e minuziosamente attento ad armonie sofisticate rilevabili ad un ascolto intenso e profondo. Il piacere del movimento libero del corpo sonoro si effonde in giochi d’arredo sonoro proporzionato in tutte le sue forme, si colloca all’origine di ogni apprendimento naturale. Questo paradigma investe e pervade anche la qualità del rapporto che l’uomo intrattiene con il proprio principio. Corpo e respiro, inteso come dimensione simbolica, emotiva e affettiva ove occorre un disponibile afflato alla presenza corporea, dove sentire e pensare non siano separati, ma coincidano. Umanità sull’altalena ciclica “ripiena di seme” nascita e rinascita intrisa di divinità.