Umberto Galimberti – Il corpo in Occidente

“Mi era venuto il dubbio che la filosofia fosse una grande difesa contro la pazzia. [… ] E ancora di questo sono convinto oggi, perché sono convinto che i nevrotici studiano psicologia e gli psicotici filosofia. Perché se noi consideriamo, chi si iscrive a filosofia? Si iscrive a filosofia una persona che vuole risolvere dei problemi, senza andare da qualcuno. [… ] Sotto ogni filosofo sottintendo un folle che vuole giocare un po’ con la sua follia, e al tempo stesso non vuole diventar folle e quindi si arma per tenere a bada attraverso una serie di buoni ragionamenti, che qui si imparano… a tenere a bada la follia.”

Umberto Galimberti

(da una conversazione nel Master in Comunicazione e Linguaggi non Verbali, Università Ca’ Foscari di Venezia, dicembre 2007).

“Socrate diceva non so niente, proprio perché se non so niente problematizzo tutto. La filosofia nasce dalla problematizzazione dell’ovvio: non accettiamo quello che c’è, perché se accettiamo quello che c’è, ce lo ricorda ancora Platone, diventeremo gregge, pecore. Ecco: non accettiamo quello che c’è. La filosofia nasce come istanza critica, non accettazione dell’ovvio, non rassegnazione a quello che oggi va di moda chiamare sano realismo. Mi rendo conto che realisticamente uno che si iscrive a filosofia compie un gesto folle, però forse se non ci sono questi folli il mondo resta così com’è… così com’è. Allora la filosofia svolge un ruolo decisamente importante, non perché sia competente di qualcosa, ma semplicemente perché non accetta qualcosa. E questa non accettazione di ciò che c’è non la esprime attraverso revolverate o rivoluzioni, l’esprime attraverso un tentativo di trovare le contraddizioni del presente e dell’esistente, e argomentare possibilità di soluzioni: in pratica, pensare. E il giorno in cui noi abdichiamo al pensiero abbiamo abdicato a tutto.“

Umberto Galimberti

(dall’incontro Intellégo – Percorsi di emancipazione, democrazia ed etica di Copertino, 25 gennaio 2008)

La Dea egizia Bastet

Bast

Bast (nota anche  come “Bastet” in tempi più tardi ) rappresenta una delle più popolari dee  del Pantheon  dell’antico Egitto: la Dea  gatto appunto, associata al gatto domestico nel  Nuovo Regno personificava la giocosità, la grazia, l’affetto, e l’astuzia di un gatto così come la feroce potenza di una leonessa. I testi più antichi descrivono Bastet come la figlia del Dio del sole Ra, creata insieme alla sua gemella malvagia la dea Sekhmet, tali documenti raccontano che fu proprio per l’intervento di Ra che la forza distruttrice di Sekhmet si placò divenendo, insieme a Bastet, l’equilibrio delle forze della natura.

in tutto l’Egitto ,  il suo centro di culto era il suo tempio a Bubastis nel Basso Egitto (che è oggi in rovina), città antica che fu la capitale  durante il periodo tardo, e alcuni  faraoni onorarono la   dea nei loro regni.

Bast

Il suo nome potrebbe essere tradotto come “la   Divoratrice”.  Gli elementi fonetici “Bas” sono riportati su di   un vaso di olio, la “t” è la desinenza femminile che non viene utilizzata quando si scrive la parola “divorare”. Il vaso di olio richiama l’associazione con il profumo: tale collegamento  viene confermato  dal fatto che la dea era  la madre di Nefertum (che appunto era il dio del profumo). Così il suo nome evoca  la sua  dolcezza  e preziosità, sotto la sua pelle pulsava  il cuore di una  predatrice. Baast ritratta con l’ankh (che rappresenta il soffio di vita) o la bacchetta di papiro ( Basso Egitto), impugnava   a volte uno scettro (che indica la forza) ed era spesso accompagnata da una cucciolata di gattini.

Fu amata così tanto da divenire per gli egiziani la dea protettrice della famiglia, dei bambini, delle donne, della danza, del sorgere del sole e divinità che forniva la protezione contro le forze maligne e le malattieBast in the Late Period copyright Einsamer Schutze

Testimonianze di templi dedicati al culto della dea gatto si trovano in tutto l’Egitto, ma la città sacra di Bastet  è Bubastis, località vicino all’attuale città di Zagazig, dove il 31 ottobre di ogni anno si svolgeva un’importante festa in suo onore del quale si trova traccia nel testo dello storico greco Erodoto (Storie – libro II cap. 60).

I gatti erano sacri a Bast, e  danneggiarne uno era considerato un crimine contro di lei e quindi segno funesto. I suoi sacerdoti allevavano gatti sacri nel suo tempio, considerati incarnazioni della dea. Quando morivano venivano mummificati e potevano essere presentati alla dea come offerta. Gli antichi egizi conferivano grande valore ai gatti perché credevano proteggessero i raccolti e rallentassero la diffusione delle malattie uccidendo i parassiti. Di conseguenza, Bast era ritenuta  una dea protettrice.  Pitture tombali suggeriscono che gli egiziani cacciassero con i loro gatti  ( a quanto pare addestrati per recuperare la preda) e  li allevassero anche  come animali domestici cari. Il culto della Dea   Bast era  popolare. Durante l’ Antico Regno fu considerata  figlia di Atum a Heliopolis (a causa della sua unione con Tefnut ), tuttavia, si pensa fosse generalmente  figlia di Ra (o versione successiva Amun ). Lei (come Sekhmet ) era anche la moglie di Ptah e madre di Nefertum e il leone dio Maahes (Mihos) (che potrebbe essere stata  altra manifestazione  di Nefertum).

Bastet with her kittens copyright Captmondo

Come la figlia di Ra era una delle dee note come “occhio di Ra” , una feroce protettrice che ha quasi distrutto il genere umano, ma con l’inganno della la birra tinta con color sangue, fu indotta al sonno che  le procurò una sbornia, e la carneficina fu scongiurata. Insieme ad  altre dee  era conosciuta come “l’occhio di Ra”, in particolare Sekhmet, Hathor , Tefnut , Dado , Wadjete, Mut . Il suo legame con Sekhmet era il più affine. Non solo entrambe le dee assumevano la forma di una leonessa, erano entrambi considerate come la sposa di Ptah e la madre di Nefertum e durante la festa di Hathor (che celebra la liberazione dell’uomo dall’adirato “Occhio di Ra”) l’immagine di Sekhmet rappresentava Alto Egitto mentre l’immagine di Bast rappresentava il  Basso Egitto .

Bast copyright Guillaume Blanchard

Bastet era molto legata ad Hathor ed era  spesso raffigurata in possesso di un sistro (il sacro sonaglio di Hathor) e Dendera (la sede del centro di culto di Hathor nell’Alto Egitto)  nota anche come il “Bubasti del sud”. Questa associazione è chiaramente arcaica in quanto le  due dee appaiono insieme nel tempio nella  valle di Chefren a Giza . Hathor rappresenta l’Alto Egitto e Bast rappresenta Basso Egitto. Uno dei suoi epiteti è stato “la signora di Asheru”. Asheru era il lago sacro nel tempio di Mut a Karnak, e a Bast è stato dato l’appellativo a causa della sua relazione con Mut, che di tanto in tanto ha preso la forma di un gatto o di un leone. All’interno del tempio di Mut ci sono una serie di raffigurazioni del faraone che festeggia con  una corsa rituale in compagnia di Bast. In questo tempio a Bast è stato dato l’appellativo di “Sekhet-Neter” – il “Campo divino” (Egitto).

Bast-Wadjet copyright Sully

E ‘stata anche identificata  con la dea dalla testa di leone pakhet di Speos Artemidos (grotta di Artemide) nei pressi di Beni Hassan. La grotta è stato denominata così perché Bast (e il suo aspetto pakhet) è stata adottata dai Greci come dea  Artemide, la cacciatrice. Tuttavia, le due dee non erano così simili : Artemide era nubile mentre Bast era associata al divertimento e alla sessualità. Tuttavia, la connessione con Tefnut e Bast di aspetto potenzialmente belligerante probabilmente ha contribuito a questo apparentemente strana connessione. Dopo tutto, anche il più piccolo gatto di casa è un abile cacciatore. I greci attribuivano a  Bast  un fratello gemello, così come Artemide aveva suo fratello Apollo. I riferimenti ad   Apollo Heru-sa-Aset ( Horus, figlio di Iside ), ha come diretta conseguenza la relazione del nome di Bast all’ “anima di Iside ” (ba-Aset) mutandone il suo nome  in una forma di questa dea diventata poi sì popolare. In  Bast era una dea  lunare.

Una leggenda racconta che Bastet, morsa da uno scorpione, fu guarita da Ra:
“Ra infuriato, provocò una siccità, quando si fu calmato, mandò Thot a cercare Bastet in Nubia, dove lei si era nascosta sotto forma della dea leonessa Sekhmet. Navigando il Nilo, Bastet si era bagnata nel fiume in una città sacra a Iside, trasformandosi di nuovo in gatta entrando a Bubastis, la città dei gatti, fu trovata da Thot … per molti secoli gli egiziani hanno ripercorso il suo viaggio in venerazione dei gatti e della dea Bastet”.

La gatta era assimilata alla luna: come nei gatti le pupille nel buio della notte subiscono grandi variazioni così venivano paragonati ai cicli lunari.

Scrive in proposito Edward Topsell (Topsell’s Histories of Beasts):
“Gli Egizi hanno osservato negli occhi di una gatta le varie fasi lunari perché con la sua luna piena splendono di più mentre la loro luminosità diminuisce con la luna calante e il gatto maschio muta l’aspetto dei suoi occhi in relazione al sole, infatti quando il sole sorge la sua pupilla si allunga, verso mezzogiorno si arrotonda e la sera non si vede affatto e sembra che l’intero occhio sia omogeneo”.

Alcuni versi tratti dai geroglifici del tempio di Dendera confermano il legame di Bastet con Iside, si legge:
“Quando la vide, sua madre Nut le disse, sii leggera per tua madre, Tu sei più vecchia di tua madre perchè il tuo nome è stato Iside” .

Nella VI dinastia, il faraone Pepi I fece costruire nel suo santuario una cappella dedicata a Bastet, e anche la grande regina Hatshepsut fece scavare un santuario in onore della dea gatto nei pressi di Beni Hassan.

Il gatto quindi venne ritenuto sacro al sole e ad Osiride, la gatta invece consacrata alla luna e ad Iside.Un brano tratto dal “Le settantacinque lodi di RA” 1700 a.C. recita:
“Lode a te, o Ra, glorioso dio-leone, tu sei il grande gatto, il vendicatore degli dei e il giudice delle parole, il presidente dei sovrani e il governatore del sacro cerchio, tu sei il corpo del grande gatto”.

Gli Egizi chiamarono il gatto Myou, conferendogli da prima un ruolo di porta fortuna, riconoscendogli una natura amabile e disponibile, lo introdussero successivamente nella vita quotidiana di tutte le famiglie, con il compito di proteggere le provviste alimentari dai roditori e serpenti velenosi.

Si sono trovate decorazioni tombali che provano che i gatti venivano portati dagli egiziani nelle paludi per recuperare le anatre cacciate, ma l’amore per questi felini si spinge oltre portando alcuni genitori a dare il nome dei gatti (Myoun… Mit… Mirt… Miut) alle proprie figlie femmine. E’ stata ritrovata a Deir el Bahri nel tempio del re Mentuhotep una mummia di una bambina di 5 anni dal nome Mirt.

Immagini dei gatti comparvero anche su oggetti di vita quotidiana, gioielli, braccialetti d’oro, amuleti e anelli ma il gatto fu anche rappresentato in moltissime statue in bronzo destinate per lo più a scopi funerari.

La gran parte delle statuette aveva le orecchie forate con orecchini d’oro o d’argento e occhi intarsiati di pietre semi preziose.

Dei gatti Erodoto scrive: “E quando scoppia un incendio, ai gatti succede qualcosa di veramente strano, gli Egiziani lo circondano tutt’intorno pensando più ai gatti che a domarlo, ma gli animali scivolano sotto o saltano sugli uomini e si gettano tra le fiamme. Quando questo succede, in Egitto è lutto nazionale, gli abitanti di una casa dove un gatto è morto di morte naturale si radono le sopracciglia, i gatti vengono portati in edifici sacri dove vengono imbalsamati e seppelliti nella città di Bubasti.”

Da scavi archeologici nelle rovine di Tell Basta (nome attuale di Bubastis) è stato ritrovato un grandissimo cimitero di gatti mummificati, infatti questi felini subivano lo stesso processo di imbalsamazione delle mummie reali, poi bendati con gli arti distesi e seppelliti con vicino ciotole per il latte e oggetti che ne garantivano la sopravvivenza nell’aldilà.

Il gatto di colore nero era il prediletto perché associato al colore della notte e al colore nero del limo portatore di fertilità e rinascita dopo le inondazione del Nilo.

Infine anche nell’Islam si trova traccia del gatto:
Si narra che Maometto, intento a leggere con un braccio allungato sul tavolo, fu avvicinato da un gatto che gli si sdraiò sulla manica della sua tunica, arrivata l’ora della preghiera Maometto guardando dormire beatamente il gatto non volle svegliarlo credendo che il felino stesse, nel suo sonno, comunicando con Dio (Allah). Preferì quindi tagliarsi la manica della tunica per andare a pregare. Al ritorno dalla preghiera il gatto, riconoscente gli fece tante fusa e Maometto commosso gli riservò un posto in paradiso ponendogli per 3 volte le mani sulla schiena gli donò la capacità di cadere sempre sulle zampe senza farsi male.

Patrizia Valduga – Vieni, entra e coglimi

serpente

Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…

comprimimi discioglimi tormentami…

infiammami programmami rinnovami.

Accelera… rallenta… disorientami.

 

Cuocimi bollimi addentami… covami.

Poi fondimi e confondimi… spaventami…

nuocimi, perdimi e trovami, giovami.

Scovami… ardimi bruciami arroventami.

 

Stringimi e allentami, calami e aumentami.

Domami, sgominami poi sgomentami…

dissociami divorami… comprovami.

 

Legami annegami e infine annientami.

Addormentami e ancora entra… riprovami.

Incoronami. Eternami. Inargentami.

L’arte delle donne – Pittrici nella storia

Talvolta ci si chiede quante donne siano entrate a far parte della Storia dell’arte? La nostra memoria è affollata di così tanti nomi maschili che, nell’immaginario collettivo, c’è sempre la presenza di un uomo con pennello e scalpello intento a realizzare un quadro o una scultura.

E le donne artiste? Per molti secoli restano ‘invisibili’ fra le mura di casa o di un convento, dedite alle arti cosiddette minori quali il ricamo, la tessitura, la miniatura. Nel Medioevo non possono intraprendere alcun tipo di apprendistato nelle botteghe d’arte o artigiane; per cui fino al Cinquecento viene repressa e ignorata ogni loro aspirazione artistica.

donna-colore

Solo a partire dal XVI secolo alcune pittrici riescono a farsi conoscere al di là dei confini cittadini, mentre le più dotate s’impongono addirittura in ambito europeo. Accade alla primogenita del Tintoretto, Marietta Robusti, che lavora per quindici anni nella bottega paterna dimostrando un’abilità sorprendente al punto da essere invitata dal re spagnolo Filippo II, senza che il padre però le concedesse di recarsi in terra straniera. Viceversa la cremonese Sofonisba Anguissola potè esercitare, alla corte di Spagna, la funzione di ritrattista ufficiale dal 1559 al 1580 perché suo padre glielo consentì, essendo un uomo liberale e grande appassionato di pittura. Nello stesso periodo la miniaturista fiamminga Levina Teerline lavora al servizio dei sovrani inglesi Edoardo VI, Maria Tudor ed Elisabetta I affermandosi come artista di prim’ordine al punto da guadagnare cifre ragguardevoli e superiori a molti famosi pittori (maschi) del suo tempo.

Nel 1562 era sorta a Firenze l’Accademia europea del Disegno, ma solo nel 1616 vi fu ammessa una donna. Si trattava di Artemisia Gentileschi, la maggiore pittrice del Seicento, fra i massimi artisti italiani d’ogni tempo. Tre anni prima del suo ingresso in Accademia, Artemisia aveva già dipinto il suo capolavoro intitolato “Giuditta che decapita Oloferne”, una tela di 159×126 cm. che rievoca il cruento episodio biblico trattato anche da Caravaggio. Il dipinto esprime le straordinarie doti pittoriche di questa giovane donna che venne violentata a diciott’anni da un anziano amico del padre e, durante il processo contro il suo stupratore, dovette subire ogni tipo di umiliazione, compresa la tortura, da una giustizia maschilista e reticente verso le vittime di sesso femminile. Nella fredda violenza del gesto di Giuditta che decapita Oloferne si può cogliere il rancore di tutte le donne violentate nei secoli; per cui Artemisia Gentileschi e i suoi magnifici quadri sono stati spesso assunti a simbolo dal femminismo del XX secolo.

Oltre a Barbara Longhi – figlia del pittore manierista Luca ed eccellente ritrattista di sante e Madonne nel piccolo formato – un caso straordinario di precocità artistica fu quello della bolognese Elisabetta Sirani che, a soli 17 anni, era già considerata un maestro in grado di gestire una sua Scuola d’arte per fanciulle in cui insegnava le più raffinate tecniche della pittura e dell’incisione. Nella sua breve esistenza produrrà più di 200 dipinti e verrà apprezzata nelle maggiori corti europee per la raffinatezza e l’intensità espressiva dei suoi quadri. Un’ulcera perforata la stroncherà giovanissima, nel 1665, a soli 27 anni. Si sospetterà un avvelenamento procurato da una sua cameriera invidiosa, ma l’autopsia evidenziò come fossero state del tutto naturali le cause della sua morte improvvisa e inattesa.Nel corso del Seicento si afferma rapidamente, soprattutto nel nord Europa, una ricca borghesia mercantile che vuole arredare elegantemente le proprie case, richiedendo ai pittori soggetti sempre nuovi o decisamente decorativi. Si diffonde, quindi, il genere della ‘natura morta’ in cui eccellono le pittrici olandesi Clara Peeters, Maria Van Oosterwijck e Rachel Ruysch. Un caso a parte è rappresentato da Maria Sibylla Merian che si specializza nell’illustrazione botanica ed entomologica, al punto da essere inviata dalle autorità olandesi nella colonia del Suriname per illustrare i risultati di una spedizione scientifica. In Italia al nuovo genere si dedica la milanese Fede Galizia, alla quale si deve una natura morta con frutta risalente al 1602, forse la prima della nostra storia artistica. Dotata di eccezionale talento seppe dipingere su tavola opere bellissime e caratterizzate stilisticamente da una luce fredda, tagliente in grado di esaltarne la perfetta armonia compositiva.

Il Settecento italiano fu dominato al femminile dalla veneziana Rosalba Carriera, straordinaria ritrattista nella tecnica del pastello in cui dimostrò grande versatilità e finezza descrittiva nell’introspezione psicologica dei personaggi rappresentati. Fin da giovane conquistò una fama internazionale, dividendo la sua esistenza fra Venezia e Parigi ed ottenendo commissioni da molti principi e sovrani europei. Tornata definitivamente nella sua amatissima città lagunare fu afflitta negli ultimi anni da una grave malattia agli occhi che la condurrà alla cecità irreversibile fino alla morte, avvenuta nel 1757.

In Europa vanno ricordate almeno due pittrici vissute tra il Settecento e l’Ottocento: la svizzera Rosalba Carriera e la francese Marie-Guillemine Benoist. La prima, famosa e carica di riconoscimenti accademici, fece scandalo per alcuni suoi disegni di nudi maschili ritratti dal vero; la seconda, allieva del grande pittore napoleonico David, si battè per l’abolizione della schiavitù anche attraverso dei quadri simbolici, diventati famosi, come ‘Ritratto di negra’.

La pittura del XIX secolo verrà profondamente rinnovata, negli ultimi decenni, dall’impressionismo di cui fecero parte quattro donne: Mary Cassat, Berthe Morisot, Suzanne Valadon ed Eva Gonzales. Della Cassat si parla alla pagina Artista del mese. Berthe Morisot fu una bellissima modella e prima donna ad unirsi al gruppo dei grandi maestri francesi di fine Ottocento. Modella prediletta di Monet, si legò a lui, a Renoir e a Rodin di profonda amicizia, contribuendo all’organizzazione della prima collettiva parigina per sole donne (Salon des Femmes). Più libera e spregiudicata fu Suzanne Valadon, modella e amante di Toulouse-Lautrec, nonché madre di un figlio illegittimo che diventerà il famoso Maurice Utrillo. La sua pittura fu estremamente realistica nell’ambientazione e anticipò i forti contrasti di colore che saranno tipici dell’espressionismo. Nell’ambito del gruppo molto apprezzata fu Eva Gonzales, d’origini spagnole e modella di Manet; tuttavia non fece in tempo a veder riconosciute le sue doti d’artista essendo morta di parto, a trentaquattro anni, nel 1883.

Il primo Novecento si caratterizza per il rinnovamento radicale della pittura attraverso la diffusione delle avanguardie storiche a cui partecipano molte artiste di talento, sebbene abbiano spesso il ruolo marginale di compagne o muse ispiratrici di grandi maestri. Accade a Gabriele Munter (Kandinskji), Marie Laurencin (Apollinaire), Leonora Carrington (Ernst), Frida Kahlo (Rivera), Jeanne Hébuterne (Modigliani). In Russia, viceversa, dopo la Rivoluzione d’ottobre alle artiste delle avanguardie viene riconosciuto un ruolo di primo piano nella pittura e nel design: Nataljia Goncarova, Liubov Popova. Alexandra Exter, Varvara Stepanova furono le più importanti firme della nuova arte che si affermava in Unione Sovietica. Nel periodo tra le due guerre l’arte delle donne si avventura in generi e settori creativi da cui erano state escluse: l’astrattismo di Sonia Delaunay, la fotografia della friulana Tina Modotti, l’art Deco di Tamara de Lempicka che diventa famosa per i ritratti femminili nei quali raffigura donne volitive, moderne e definitivamente emancipate da ogni tutela maschilista. Le sue opere, trascurate per decenni dal mercato artistico, sono ormai introvabili e valgono oggi alcuni milioni di euro.

Molti sono i nomi di artiste contemporanee che andrebbero ricordate; ma si vuole concludere citando simbolicamente, per tutte, una pittrice che il Novecento ha interamente attraversato lavorando senza clamore, ma con l’entusiasmo e la passione di sempre. E’ la signora Felicita Frai, una pittrice nella storia, che ha saputo dipingere l’eterna fanciulla che c’è in ogni donna, trasfigurandovi per sempre nei suoi quadri la bellezza interiore e l’incantevole stupore.

Nina Hagen – african reggae live

Carmen Consoli – Besame Giuda/Lady Marmalade

Franca Rame:

Documenti sullo stupro di Franca Rame dagli archivi di “Repubblica”

 

Rame, Franca. – Attrice italiana (Parabiago 1929 – Milano 2013). Figlia d’arte, debuttò giovanissima nella compagnia girovaga del padre. Passata alla rivista nel1948, incontrò D. Fo, divenuto poi suo marito, nello spettacolo di cabaret Il dito nell’occhio (1953). Dal 1958 è stata protagonista delle numerose commedie scritte da Fo. Si è imposta con una recitazione estrosa ed aggressiva, passando con disinvoltura dalla satira spregiudicata di La signora è da buttare (1967) ai toni sarcastici del Fabulazzo osceno (1981), alla didattica semiseria di Sesso? Grazie, tanto per gradire (1994); come attrice e autrice (sempre in collaborazione con Fo) ha trattato con coraggio e polemica la condizione femminile (Tutta casa, letto e chiesa, 1978; Coppia aperta, 1984; Parliamo di donne, 1991). Dei successivi lavori si ricordano: Il diavolo con le zinne (1997),spettacolo comico grottesco, in cui ha affiancato G. Albertazzi; Marino libero! Marino è innocente! (1998), rivisitazione polemica del caso Sofri; Lu santo jullare Francesco (1999), monologo sulla figura del santo di Assisi. Nel 2009, insieme a D. Fo, ha scritto l’autobiografia Una vita all’improvvisa. Nel 2006 è stata eletta al Senato con la lista Italia dei Valori, esperienza conclusasi nel 2008 che l’attrice ha descritto nel testo In fuga dal Senato, pubblicato postumo nel 2013.

Tina Lagostena Bassi

Lagostena Bassi, Tina (propr. Augusta). – Avvocatessa italiana (Milano 1926 – Roma 2008); nota come “l’avvocato delle donne” per il forte impegno profuso in difesa dei diritti femminili, ha patrocinato in numerosi processi con reati di abuso e stupro combattendo con grande perizia giuridica; si è battuta affinché il reato di stupro e gli abusi sulle donne fossero ascritti nel codice penale italiano tra i reati contro la persona e non più contro la morale.

VITA E ATTIVITÀLaureatasi in giurisprudenza all’univ. di Genova, iniziò la carriera accademica presso la cattedra di diritto penale, seguendo anche la professione forense. Si interessò dei diritti e dei problemi di violenza sulla donne sin dagli anni settanta in concomitanza con il fiorire dei movimenti femministi. Tra i tanti processi, si ricorda la difesa di una delle vittime del massacro del Circeo avvenuto nel sett. 1975. Eletta nel 1994 deputato in Parlamento nelle file di Forza Italia, presiedette la Commissione nazionale per le pari opportunità, firmando anche nel 1996 la legge contro la violenza sessuale. Durante la sua lunga carriera ha sostenuto diverse associazioni (per es.  Telefono rosa) vicine ai problemi delle donne. Dal 1998 ha portato la sua esperienza in televisione partecipando al programmaForum in qualità di giudice d’arbitrato.

OPEREOltre alle numerose pubblicazioni giuridiche ha scritto con E. Moroli, L’avvocato delle donne: dodici storie di ordinaria violenza (1991, da cui è stata tratta la sceneggiatura, a sua firma, della miniserie RAI interpretata da M. Melato).

Klaus Nomi – Total Eclipse 1981 Live

Quills – La penna dello scandalo

Goditi “Quills – La penna dello scandalo” on line

 

quills

 

Francia XVIII secolo. La Rivoluzione Francese ha mandato alla ghigliottina gran parte della nobiltà; il “piccolo” Napoleone siede sul grande trono di Francia, ma oltre ad occuparsi della politica e dell’economia del paese si preoccupa anche della sua morale.
L’ultima “fatica letteraria” del Marchese De Sade circola clandestinamente ovunque e con grande successo di pubblico. Le poche pagine lette di “Justine” mandano l’Imperatore su tutte le furie: dal momento che rinchiuderlo nel manicomio di Charenton non è stato sufficiente a fermare la sua indecente prosa, si rende necessaria una nuova e definitiva cura. Il dottor Royer-Collard viene incaricato di trovare un rimedio opportuno.
Il marchese è in effetti da lungo tempo rinchiuso in una stanza del manicomio. Tra agi e ricca mobilia scrive senza sosta seguendo il consiglio del giovane abate Coulmier, che ritiene questo il solo modo per ripulire l’anima dalle immonde sozzure che la mente del marchese riesce ad immaginare. Ma il pubblico, fuori da quegli alti cancelli non aspetta altro che leggere le avventure dei “sadici” personaggi e la giovane lavandaia del manicomio Madeleine, la più entusiasta ammiratrice, si trasforma in un’intraprendente e estremamente collaborativa “agente letteraria” ante litteram.

Partendo da un episodio vero – il dottore inviato da Napoleone per una cura definitiva – l’autore teatrale e sceneggiatore del film Doug Wright, ha creato una storia basata più sullo spirito di Sade, sulla sua “cupa e velenosa estetica”, che non sui fatti della sua vita.
“Quills” è nella sua totalità una “licenza poetica”, come afferma lo stesso Wright: “Ho messo in bocca al compianto Marchese delle parole, componendo delle storie nel suo stile anziché razziando dai suoi romanzi”.

La vita del Marchese che ha realmente passato 30 anni in prigione per crimini come lo stupro e la pornografia, si trasforma con Wright e la regia di Philip Kaufman in una storia di follia e amore a tratti esilarante e a tratti persino commovente. Si sviluppa sotto gli occhi dello spettatore una battaglia tra la carnalità e l’amore e tra la spietatezza della censura e le imprevedibili conseguenze della libera espressione.
Nella frenesia creatrice del Marchese, che arriva ad utilizzare ossa di pollo e vino pur di scrivere le sensuali avventure delle sue eroine, si legge un desiderio di rivalsa, un incessante combattimento per affermare la propria vitalità. Un ritratto complesso e contraddittorio di una personalità difficile da dominare perché brillante e blasfema, apparentemente sensibile ma anche piena di impulsi malvagi. E Geoffrey Rush ne è il magnifico interprete: in equilibrio tra tutte le contraddizioni e gli eccessi del personaggio, riesce a restare sempre credibile e affascinante mentre combatte strenuamente la rigida e nascostamente perversa personalità del dottore (Michael Caine), o tenta di attirare a sé la giovane Madeleine (Kate Winslet) o conquistare l’abate Coulmier (Joaquin Pheonix) con discorsi imbevuti di doppi sensi di cui l’incontenibile Sade sembra essere grande e irraggiungibile maestro.

Verità storiche e leggende:
Nelle sue memorie Napoleone menziona di aver scorso “il più abominevole libro che una immaginazione depravata abbia mai concepito” riferendosi a “Justine”.

Si dice che a Charenton Sade si sia innamorato di una lavandaia di nome Magdeleine che frequentava regolarmente il suo appartamento e che lui le insegnò a leggere e a scrivere.

L’abate Coulmier, in realtà gobbo e alto un metro e trenta, permise al Marchese di occuparsi del teatro di Charenton che come parte della terapia metteva in scena delle pièces interpretate dai pazienti; alcune di queste pièces furono scritte dallo stesso Sade seppur con toni più austeri e sobri dei suoi romanzi.

Il dottor Royer-Collard arrivò a Charenton nel 1806: conservatore e moralista organizzò un raid della polizia in cui venne confiscata la maggior parte del lavoro di Sade.

Il Marchese morì a Charenton il 3 dicembre 1814; nonostante le sue esplicite istruzioni, venne sepolto nel cimitero di Charenton. I suoi scritti rimasero ufficialmente proibiti in Francia fino a tutti gli anni sessanta.

Anno: 2000
Paese: USA, UK, Germania 
Genere: drammatico / storico 
Durata: 119 minuti
Regia: Philip Kaufman

Cast: 
*Geoffrey Rush: Marchese de Sade
*Kate Winslet: Madeleine ‘Maddy’ LeClerc
*Joaquin Phoenix: Abbé de Coulmier
*Michael Caine: Dr. Royer-Collard
*Billie Whitelaw: Madame LeClerc
*Patrick Malahide: Delbené
*Amelia Warner: Simone
*Jane Menelaus: Renee Pelagie
*Stephen Moyer: Prouix