Virginia Woolf

virginia_woolf-570x300 Virginia Woolf nacque Adeline Virginia Stephen e crebbe in un ambiente saturo di atmosfera vittoriana, formato per la maggior parte da personaggi illustri, studiosi e romanzieri, che frequentavano lo studio dello scrittore e critico Leslie Stephen e il pomeridiano tavolo da tè di quella famiglia dell’alta borghesia. Secondo il rigido costume vittoriano, la formazione di Virginia Woolf sarà tipicamente femminile, dal momento che solo i figli maschi avevano diritto a un’istruzione pubblica: lei, donna, ad una scuola pubblica non sarebbe mai andata. Visse la sua infanzia in uno stato di crescita ansiosa; quel mondo della cultura che non era possibile “avvicinare” eccitò l’immaginazione di Virginia che sentì più forte il peso della discriminazione maschio/femmina, e il non poter ricevere un’istruzione più accurata assunse ai suoi occhi l’immagine di una grande ingiustizia. A Thoby, il fratello maggiore che studierà all’Università di Cambridge, spetterà il compito di fare da mediatore nei confronti di quella cultura a lei preclusa; ma la futura scrittrice non perdonerà mai ai suoi familiari di averle dato, nei primi anni, un’istruzione di seconda mano. Tuttavia, dato che aveva un padre colto, Virginia godè i vantaggi di una selezionata biblioteca e cercherà di sopperire all’impossibilità di ricevere un’istruzione adeguata, dedicandosi ad un’intensa attività di lettura e scrittura. Tutto questo, nel tempo, si rivelerà una promozione ricca di conseguenze. Gli inizi del Novecento trovano in Virginia Stephen una giovane donna non incline alle regole del conformismo vittoriano, regole di mondanità, di salotti dorati ed esclusivi per i ceti privilegiati: la visione narcisistica della sua vita futura riguardava la scelta di strade diverse, in un progetto non ancora chiaro nella sua mente. Non potè mai sopportare il concetto che le ragazze erano “solo adatte” all’area domestica, che gli uomini non fossero in grado di accettare in maniera seria questa condizione e che scuotessero il capo: questa condizione doveva essere superata e, per quanto possibile, dovevano essere sconfitte quelle regole imposte da un sistema ingiusto. Ogni aspetto della vita di V.W. è condizionato dal suo destino di scrittrice, una vocazione ineluttabile, vero significato della sua vita; contemporaneamente, possiamo dire che le sue opere rispecchiano gran parte della sua vita, delle sue fantasie, del suo genio creativo, del suo destino di donna. Quello che ci interessa qui sottolineare, è quell’aspetto particolare della vita del- la scrittrice che fa riferimento al “suo femminismo” e che rileviamo soprattutto in almeno due tra i suoi saggi più noti A Room of One’s Own (Una stanza tutta per sé) e Three Guineas (Le tre ghinee). Di essi ammiriamo il contenuto, lo spirito di appartenenza al genere femminile, la solidarietà per la donna emarginata dallo spazio sociale sentimento sottolineato con indignazione e sofferenza perché anche “lei è donna” -, la sua sensibilità di scrittrice che riesce a trasformare il rapporto genere/scrittura dal piano delle idee e dell’astrazione al piano dell’esperienza storica, economica, esistenziale.

TRATTO DA “DONNE E ROMANZO”

Il testo trascrive due conferenze che Virginia Woolf tenne in due college femminili sul tema “Donne e romanzo”. Il presupposto indispensabile perchè una donna possa scrivere è, secondo la Woolf, avere del denaro ed una stanza tutta per sé. Del denaro perchè le donne sono sempre state povere sia materialmente che culturalmente, ed una stanza tutta per sé, per avere la giusta concentrazione e non essere distolte dalla scrittura con continue interruzioni.

Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale di quanto non avessero i figli degli schiavi ateniesi. Le donne, pertanto, non hanno avuto la più piccola opportunità di scrivere poesia…[…] mi piace leggere; mi piace leggere un libro dopo l’altro. Negli ultimi tempi questa dieta è per me diventata piuttosto monotona; la storia parla quasi sempre di guerra; la biografia si occupa di uomini illustri; la poesia ha dimostrato, credo, una tendenza alla sterilità; e il romanzo… Perciò vi chiedo di scrivere ogni sorta di libri, su qualunque argomento. Senza dubitare, per quanto triviale o per quanto vasto vi possa sembrare. In un modo o nell’altro spero che un giorno avrete denaro sufficiente per viaggiare e per oziare, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare davanti ai libri e vagare per le strade e lasciare che la lenza del pensiero scenda sempre più in fondo al fiume”.

E se una donna dei secoli scorsi fosse stata dotata di ingegno letterario eccezionale, come se la poteva cavare? Spiritosamente la Woolf risponde:

“Immaginiamo, giacchè ci riesce così difficile conoscere la realtà, che cosa sarebbe successo se Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, chiamata Judith, diciamo. Molto probabilmente Shakespeare studiò – poiché sua madre era ricca – alla “grammar school”; gli avranno insegnato il latino – Ovidio, Virgilio e Orazio – e qualche elemento di grammatica e di logica. Era, come si sa, un ragazzo irrequieto, il quale cacciava di frodo i conigli, e forse anche i daini; e dovette anche, prima di quanto voluto, sposare una donna dei dintorni, che gli diede un figlio un po’ più presto del solito. Questa avventura lo spinse a cercare fortuna a Londra. Si interessava, a quanto pare, di teatro; dicono che abbia cominciato facendo la guardia ai cavalli presso l’ingresso degli attori. Presto imparò a recitare, divenne un attore di successo, e si trovò al centro della società contemporanea; vedeva tutti, conosceva tutti, sfoggiava la sua arte sulla scena, il suo spirito per strada, e riuscì perfino ad essere ricevuto nel palazzo della regina. Intanto sua sorella, così dotata, supponiamo, rimaneva in casa. Ella non era meno avventurosa, immaginativa e desiderosa di conoscere il mondo di quanto non lo fosse suo fratello. Ma non aveva studiato. Non aveva potuto imparare la grammatica e la logica, e non diciamo leggere Orazio e Virgilio. A volte prendeva un libro, magari un libro di suo fratello, e leggeva qualche pagina. Ma poi arrivavano i suoi genitori e le dicevano di rammendare le calze o di fare attenzione all’umido in cucina, e di non perdere tempo tra libri e carte. Questi ammonimenti saranno stati netti, benché affettuosi, poiché si trattava di persone agiate, che sapevano come debbono vivere le donne, e amavano la loro figlia; anzi, è molto probabile che ella fosse la figlia diletta di suo padre. Forse riusciva a riempire di nascosto qualche pagina, su nell’attico; ma poi aveva cura di nasconderle o di bruciarle. A ogni modo, non appena arrivata alla pubertà, ella era stata promessa al figlio di un vicino mercante di lane. La ragazza protestò che il matrimonio era per lei una cosa abominevole; sicché suo padre la picchiò con violenza. Poi, cambiando tono, la pregò di non fargli questo danno, questa vergogna di rifiutare il matrimonio. Le avrebbe regalato una bella collana, oppure una bella gonna, diceva, con le lacrime agli occhi. Poteva forse disubbidirgli? Poteva forse spezzargli il cuore? Eppure la forza del suo talento la spinse al gesto inconsueto. Una sera d’estate Judith fece fagotto con le sue cose, scese dalla finestra e prese la strada di Londra. Non aveva ancora diciassette anni. Gli uccelli che cantavano sulle siepi non erano più musicali di lei. Ella possedeva, come suo fratello, la più viva fantasia, il più vivo senso della musica delle parole. Come lui, si sentiva attratta da teatro. Bussò alla porta degli attori; voleva recitare, disse. Gli uomini le risero in faccia. L’amministratore – un uomo grasso, dalle labbra spesse – proruppe in una gran risata. Disse qualcosa sui cani ballerini e sulle donne che volevano recitare; nessuna donna, disse, poteva essere attrice. Egli accennò invece… ve lo potete immaginare. Nessuno le avrebbe insegnato a recitare. D’altronde non poteva mangiare nelle taverne, né girare per le strade a mezzanotte. Eppure il genio di Judith la spingeva verso la letteratura; ella desiderava cibarsi abbondantemente della vita degli uomini e delle donne, studiare i loro costumi. Infine (poiché era molto giovane, e di viso somigliava molto a Shakespeare, con gli stessi occhi grigi e la fronte curva) Nick Greene, l’attore-regista, ebbe pietà di lei; Judith si trovò incinta di questo signore, e pertanto – chi può misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando questo si trova prigioniero e intrappolato nel corpo di una donna? – si uccise, una notte d’inverno, e venne sepolta a un incrocio, là dove ora si fermano gli autobus, presso Elephant and Castle. “

(Una stanza tutta per sé – Virginia Woolf)

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