Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe).Parte 28

Ce n’è dunque per tutti: la condanna della fantasia femminile, ma anche della masturbazione e persino di chi ha polluzioni notturne (ma che colpa ne ha?); c’è un preciso riferimento alle streghe e un atto di deferenza nei confronti del Malleus Maleficarum.

Il libro è però diretto alle ostetriche, padrone di ogni sortilegio e di ogni stregoneria, maestre dell’uso delle erbe e delle pozioni. E così il capitolo termina con una storiella, che racconta di una donna che riesce nella difficile battaglia di abbandonare il suo scellerato commercio con il demonio portandosi sempre addosso un’erba mirabilante: “e se la mia commare desidera saper come habbi nome quella herba, le dico che ha nome Caccia Diavoli”.

 Immagino che molte ostetriche e molte donne conoscessero queste erbe, e che abbiano molto goduto nel vederle consigliare da un uomo di cultura. L’erba (che si chiama anche Erba di san Giovanni Pilatro) è l’iperico (Hypericum perforatum, della famiglia delle Hypericacee) è indicato nella leggenda come l’erba della quale si nutriva Giovanni Battista. A dire il vero, Giovanni si nutriva di miele e di locuste, ma nella Bibbia “akron” indica sia l’insetto che la pianta sulla quale la locusta si posa. Nel medioevo, molte ragazze dormivano con un mazzolino d’iperico sotto il cuscino, sia nella convinzione di ricevere una protezione da Giovanni Battista, sia perché a quest’erba è stata attribuita la capacità di cacciare i fantasmi (e, per analogia, i demoni). L’iperico è stato usato in medicina in molte e differenti circostanze, come antivirale, antibatterico, antidepressivo e in moltissime altre condizioni morbose. L’unico effetto collaterale di quest’erba è la possibilità di aumentare la sensibilità alla luce del sole e questa è la ragione per cui l’iperico è considerato, in Australia, un’erba pericolosa.

Ritorno alla ragione che mi ha sollecitato a scrivere questo lungo inciso: il ruolo delle ostetriche nella trasmissione della cultura anticoncezionale è stato certamente fondamentale per molti secoli, ma è inevitabilmente diminuito sin quasi a scomparire dal momento in cui esse hanno realizzato che occuparsi di questi temi metteva a rischio la loro stessa vita. La cultura anticoncezionale è stata perciò confinata all’interno delle famiglie con una inevitabile serie di conseguenze negative, che vanno dall’abbandono delle erbe della montagna, trascurate perché difficili da reperire e da riconoscere, alla grande frequenza di errori nell’uso delle erbe dell’orto, causa di un numero di fallimenti in continua crescita. Così le madri insegnano alle figlie quello che si ricordano e oltretutto lo fanno con grande cautela perché non vogliono che le figlie ne abusino. Le conseguenze della persecuzione delle ostetriche vi dovrebbero essere chiare.

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 27

Una notevole pressione sulle ostetriche arriva naturalmente dalla medicina ufficiale, fortemente intenzionata a togliere loro spazio e autonomia. Si diffondono in Europa regole che impongono all’ostetrica di chiamare il medico ogni volta che il parto si complica e che le proibiscono di eseguire alcune manualità e di utilizzare i ferri chirurgici. In molti luoghi queste norme sono necessariamente ignorate (nessun medico va ad assistere a un parto distocico in un isolato casolare di montagna), ma nelle città è diverso, e le condanne alle ostetriche renitenti cominciano a fioccare. L’interesse della medicina alle scienze ostetriche e ginecologiche continua a crescere: vengono proposti nuovi strumenti ostetrici, il cui uso è vietato alle levatrici (e non solo a loro: il forcipe di Chamberlen utilizzato per la prima volta all’inizio del 1600, fu mantenuto segreto a tutti e utilizzato solo dai familiari del suo inventore per più di 50 anni).

Ma che tipo di informazione e quanta cultura contenevano questi libri, sui quali si formavano le ostetriche più brave e preparate? Ho letto alcuni capitoli di “La commare o riccoglitrice“, un libro verbosissimo, che sul piano squisitamente tecnico è “figlio dei tempi e per i tempi ardito”. I consigli, la descrizione della patologia, le disquisizioni sulle cure e sugli interventi sono più che accettabili. Ma Scipione Mercurio voleva anche vestire i panni dello scienziato e del maestro, e così, ogni tanto, dissertava. È bene che io faccia qualche esempio delle cose che scriveva, perché – tenetelo presente – queste cose diventavano “verità scientifiche” nella testa e nella fantasia delle donne che – più di ogni altra persona – erano deputate alla cura della salute procreativa.

Molti capitoli del secondo libro di “La commare o riccoglitrice” sono dedicati ai mostri, a cosa siano, a cosa ne causi la venuta al mondo, e quali siano veri e quali favolosi. Mercurio cita subito Agostino e ricorda che nel libro 10, capitolo 16 della “Città di Dio” c’è una classificazione che considera separatamente mostri, ostenti, prodigi e portenti. Non sono un lettore abituale di Agostino, ma la citazione è per lo meno sbagliata, il libro deve parlarne da qualche altra parte. Comunque, Mercurio spiega che i mostri sono quei nati che hanno testa di cane o piedi di capra; prodigi, quelle creature che hanno parte del corpo situate in luoghi diversi dall’abituale; ostenti, quei fenomeni inusitati che possono avvenire al momento del parto (come il fatto di una cavalla che partorisca una lepre); portenti, le nascite contro natura (cioè i feti con il corpo trasformato nella figura o nel sesso).

La cosa che mi interessa, nella lunga disquisizione che segue a questa classificazione, è quello che Mercurio pensa delle “cagioni dei mostri”. Meglio riportare le sue parole:

 “L’ultima causa e forse la maggiore per mio giudizio è l’imaginazione dei genitori e particolarmente quella della madre. Particolarmente dico quella perché di sopra si è già mostrato quanto possa tale imaginazione nel corpo già formato, stampandoci sopra le marche di quanto desidera la donna. Hor che sarà allora, quando nei sangui e semi teneri corrano gli spiriti formati da pensieri mostruosi? Certamente potranno più, che molto effigiare, e variare tale massa di sangue, e di seme tanto più agevolmente, tanto più è alta questa materia a ricevere ogni impressione, che non è il corpo, già organizzato e perfetto. Che l’immaginazione possa ciò fare è opinione quanto mai invecchiata di quanti mai ragionarono della immaginazione delle donne. Lo persuade Alberto Magno, Avicenna, e un numero quasi infinito di scrittori“.

Il concetto è già espresso in termini molto espliciti e sono già stati trovati, per lui, illustri padri tra gli scienziati. Si tratta ora di ragionare sui meccanismi.

“Aristotele, nel libro 4 della generazione degli animali, al capitolo 4, dice che il mostro nasce o dalla debolezza del seme dell’agente, o dalla disobbedienza della recipiente. Questa disobbedienza, dirò io, oltre a molte altre cose che si possono considerare che altro è che quello non uniformarsi con l’intenzione dell’agente, il quale intende riprodurre un simile a sé? e però quando la donna andrà vagando con la mente nel tempo della concezzione, e pensando ad animale, o ad altra strana figura produrrà il mostro: poiché sopra si è detto che l’unirsi e farsi conforme alla volontà dell’agente, è causa di fare i figli simili al padre. Ma qui dirà alcuno che la somiglianza non quadra: perché la donna stampa il vestigio della cosa desiderata nel fanciullesco corpo, questo avviene perché la desiderò molto: ma quale sarà così sciocca donna che giamai desideri cosa tanto orrenda di fare figli mostruosi? Rispondo che è vero, che allo stampare le voglie nei corpi dei fanciulli si ricerca l’imaginazione fissa congionta col desiderio perseverante: ma questo si disse che era necessario perché la imaginazione non poteva in uno istante imprimere cotai segni, ma per mezo de spiriti e questi per mezo del sangue il quale dovendo passare per molti spazi di vena per ritrovare la parte, che dovevano nutrire, è necessaria con la perseveranza del desiderio con la forte imaginazione acciò non svanisse per suo difetto. Nella generazione de i mostri non vi vuole questa manifattura perché nella congiunzione dell’huomo e della donna mentre quei semi e sangui si uniscono insieme, il che è fatto sempre con molta dolcezza se in quell’atto la donna discorra con la imaginazione sopra il collo, capo, petto di qualunque animale, e che niente duri ancor che non lo desideri correndo gli spiriti quasi in un subito sopra quei semi per mezzo della dolcezza, imprimono in quei sangui quelle confuse imagini che apprese con l’imaginazione, le quali restando colà finché il corpo si informa, si genera il mostro. Il che più facilmente si può fare quando vi concorra alcuna dell’altre sopraddette cause, si che correndo gli spiriti impressionati dalla imaginazione sopra cosa tanto tenera e molle, non ha di bisogno del desiderio per impronto a fare tale opera, come nel corpo formato già si disse. E questa è la ragione che senza che la donna desideri havendo con la sola imaginazione appreso qualche figura strana produce i mostri. Il che a me pare facilissimo”.

Mercurio, a questo punto, compie un vero capolavoro di analogia, ricordando come a tutti accada di sbadigliare vedendo che qualcuno sbadiglia e di aver voglia di urinare, se vedono spillare vino da una botte, e questa è la forza dell’immaginazione. E questo è anche un modo perfetto per far sentire le donne colpevoli anche della nascita dei bambini mal conformati.

Non può essere un caso se, nella serie di capitoli dedicati al significato e alle cause della nascita dei mostri, Mercurio ne inserisce uno intitolato “Se i diavoli possano generare come molti credono”. L’argomento è affrontato con molta serietà e l’intenzione dell’autore è di dare al quesito due risposte diverse: se i diavoli possano generare per propria natura; se possono generare per mezzo e aiuto d’altra natura.

Quanto al primo quesito, Mercurio chiama in causa San Tommaso che afferma che

essendo il generare atto della vita e la vita facoltà attenente al composto d’anima e di corpo, non havendo corpo l’Angelo non può avere le operazioni che da quello nascono; e che essendo in esse le generazioni, l’Angelo per sua natura non può generare e poiché il Diavolo per natura è Angelo – che il peccato lo fece diavolo – ne segue che neanco il Diavolo per sua natura possa generare sì che non è vero che i Demoni generassero per sè gli Incubi e i Sucubi”.

Ma, riprende Mercurio, la storia dell’uomo è piena di prove dell’esistenza della capacità generatrice del Diavolo:

“Dico dunque che il Demonio, essendo di natura angelica non può generare per virtù di essa, ma per virtù della natura umana, cioè facendosi hora Incubo e hora Sucubo. Imperocché mentre il Diavolo vorrà procurar la generazione gli è necessario prima assumere un corpo di una Donna morta, o altro corpo fantastico, e fingendo d’esser una meretrice sottoporsi all’huomo nell’atto carnale e ricever il suo seme, o procurarlo di havere da quegli, che patiscono poluzzioni notturne, o che volontariamente da se stessi si corrompono, e conservarlo nel suo calor nativo, il che potrà facilmente far haver cognizione delle cose create, si come facilmente potrà mover quel corpo come se fosse vivo; poiché la sostanza spirituale ha imperio assoluto sopra la sostanza corporale e anco con la medesima facilità potrà con odore occultar il fetor del corpo morto; e fatto questo bisogna che di nuovo figli un altro corpo di maschio, o cadavere, o corpo fantastico, e quel seme che haveva raccolto come Sucubo, lo trasmetta nell’utero di una donna nell’atto carnale fatto Incubo, in questo modo potrà il Diavolo generare ma non per virtù propria”.

Qui, Mercurio ha una piccola crisi di coscienza e dichiara di esser diventato rosso “considerando di una creatura così nobile come il Diavolo, (che pur è Angelo per natura) mentre è tanto intento a far peccare gli huomini, non si vergogni di pigliar corpo, esercitar quegli atti puttaneschi, e dishonesti, pur è vero che molte volte l’abbia fatto”.

E qui cita S. Agostino ma, soprattutto il Malleus Maleficarum “dove è una frotta di queste sporcherie del Diavolo

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 26

Nel 1771 vide la luce A Treatise on Female Disorders, di Henry Manning, probabilmente scritto per i medici, ma che trovò molte lettrici tra le ostetriche. Nel trattato trova molto spazio il problema degli emmenagoghi, scelti soprattutto tra le medicine che “rafforzano la digestione“, un elenco nel quale troviamo quasi tutte le sostanze che erano note, a quell’epoca, per controllare la fertilità. Manning non si curava affatto di scrivere dettagli come dosi e vie di assunzione, minuzie da lasciare al farmacista, e indicava come sua ricetta favorita una misteriosa Tinctura Sacra, della cui formula non diceva una parola e che probabilmente le donne avrebbero potuto trovare nella farmacia locale. Qualche apertura al problema del controllo delle nascite si trova quando Manning fa capire che gli stessi farmaci che si usano per l’espulsione di una placenta ritenuta possono essere utilizzati per indurre un aborto.

Anche i libri scritti espressamente per i medici sono molto incompleti per quanto riguarda il controllo delle nascite. Jean Astruc, nel suo Traité des Maladies des Femmes, sei densi volumi pubblicati a Parigi tra il 1761 e il 1765, dedica molto spazio agli emmenagoghi, senza mai dar segno di sapere che possono causare un aborto, cosa che un medico capace di scrivere sei volumi di ginecologia non poteva ignorare.

Michele Malacarne, alla fine del XVII secolo scrive, a proposito delle ostetriche, che sono “temerarie, zotiche, idiote, prive di genio e di gusto per lo studio”. In realtà, sono donne, e sono depositarie di una cultura empirica che, fino a quel momento, ha dato loro un grande potere e ha svolto uno straordinario compito sociale. Ora questa cultura si confronta con il progresso delle conoscenze scientifiche e, questa almeno è la giustificazione della Chiesa e delle Università, non è più capace di reggere al confronto, poiché le resta solo il suo carattere magico e segreto. Bisogna dunque trasformare la mammana in ostetrica, un compito non facile, che viene in parte assunto dalle Università che arriveranno persino all’insegnamento di materie per sole ostetriche chiamato “ostetricia minore”. Ecco la ragione dei primi libri scritti solo per le Ostetriche, da “De partu hominis“, scritto originariamente in tedesco da Eucario Roesslin e pubblicato a Strasburgo nel 1513, al già citato “La commare o riccoglitrice” di Scipione Mercurio, al trattato per le ostetriche di Louise Bourgeois, dato alla stampa nel 1609 a Parigi.

 

 

 

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 24

Nel XVI secolo erano state approvate in varie parti d’Europa leggi che punivano la stregoneria. Così era la legge emanata da Carlo V nel 1532 (Constitutio Criminals Carolina), che stabiliva sanzioni severe per chi faceva abortire una donna (se il figlio era vivo e vitale) e per chi rendeva un uomo o una donna sterile. La pena era la morte, e la stessa pena andava erogata alle donne che si procuravano un aborto. Se questa legge non stabiliva sanzioni per chi procurava un aborto senza fare alcun male alla madre, la legge inglese (che è del 1541) era più specifica e diceva: “Che era un atto criminale anche trascinare una persona in un amore illegale, o farlo per un qualsiasi altro intento illegittimo”. Più tardi la legge fu modificata con l’aggiunta della condanna di chi usava una qualsiasi parte del corpo di un cadavere per scopi che riguardavano la stregoneria, la magia e gli incantesimi. Nello stesso periodo anche il giuramento delle ostetriche fu modificato per l’aggiunta dell’impegno a non occuparsi in alcun modo di stregoneria, di non consentire l’assassinio di alcun bambino e di seppellire i feti morti in modo appropriato. Nel 1624 un’altra legge inglese stabilì che in caso di morte di un nuovo nato, l’onere di dimostrare che essa era dovuta a cause naturali gravava sulla gestante; se non riusciva a dimostrarlo, poteva essere accusata di omicidio e, se trovata colpevole, impiccata.

Le ostetriche diventavano sempre più spesso bersaglio di una crudele persecuzione e venivano sempre più spesso accusate sia di stregoneria che di crimini comunque nefandi e vergognosi e spesso condannate sulla semplice base di una denuncia anonima o di qualche diceria popolare, senza un’ombra di prova. Così, queste povere donne trovarono finalmente il coraggio di reagire: si organizzarono, cercarono di avere accesso all’istruzione e di ottenere ovunque una licenza per il loro lavoro. In più, accettarono di pronunciare i giuramenti che venivano loro imposti e che erano anche un’implicita confessione di cattiva condotta: giuravano che non avrebbero fatto questo e quello, ma era come se promettessero che non avrebbero più fatto questo e quello. La loro campagna di pubbliche relazioni, il loro tentativo di rappresentare se stesse come le custodi della salute delle donne e dei loro bambini ebbero successo, ma solo in tempi molto lunghi. In quei momenti le accuse erano troppe e troppo gravi.

 

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 23

Dunque le ostetriche dovevano essere considerate inaffidabili e licenziose, impresa non difficile visto che amministravano un sapere che le faceva camminare sul filo di un rasoio, di qua il bene delle donne, di là l’abisso della perdizione: ma erano utili, se non addirittura necessarie. Così, nel XVI secolo la loro inaffidabilità divenne ufficiale: nel momento in cui veniva data loro l’abilitazione alla professione (ma per almeno un secolo  molte donne continuarono ad esercitarla senza alcun permesso) si decise di farle giurare di comportarsi bene.

I giuramenti delle ostetriche erano di per sé un atto di esplicita accusa, nessuno si sognerebbe di inserire cose del genere negli impegni di altre professioni (pensate a un giuramento della polizia nel quale ci sia l’impegno a non bastonare gli operai che scioperano). Le espressioni più usate erano “non eserciteremo alcun tipo di stregoneria né faremo incantesimi” e “non useremo mezzi illegali né superstizioni, né con le parole né con i segni“. L’abitudine a questi giuramenti ebbe vita molto lunga.  Il primo riferimento ai Giuramenti delle ostetriche l’ho trovato in un libro di J. Aveling (English midwives, pubblicato nel 1872). Dice: “Io, Eleonora Pead, ammessa alla professione di ostetrica, voglio esercitare questo ufficio con diligenza e onestamente, secondo i doveri che gli sono riconosciuti, utilizzando per esso tutte le conoscenze che Dio mi ha dato. Sarò sempre disposta ad aiutare le donne povere come le donne ricche durante il parto e ad assistere ugualmente ricchi e poveri e mi impegno …… a non consentire che il padre sia sostituito……. a non scambiare né uccidere i neonati…. a non usare incantesimi e stregonerie. Se sarò costretta a battezzare un bambino userò la formula sacra e non dirò parole profane, e certamente userò acqua pura e chiara”. Siamo, è bene ricordarlo, nel 1567.

A Barcellona, nel 1795, le ostetriche licenziate dall’Università giuravano di “non somministrare farmaci alle donne gravide, partorienti o puerpere che non siano stati prescritti da un medico latino”. Un giuramento simile veniva pronunciato dalle ostetriche inglesi che inoltre si impegnavano a non dare consigli circa “erbe, medicine o veleni alle donne gravide che potrebbero così uccidere o espellere il feto prima del tempo”.

E il nome del gioco era certamente il sospetto. Un’ordinanza della città di Norimberga, emanata all’inizio del 1600 ricordava ai cittadini i “recenti crimini commessi da donne che vivono nel peccato e nell’adulterio e che, prima o durante il parto, hanno cercato di uccidere i propri figli illegittimi sia prendendo pericolose pozioni capaci di determinare l’aborto che usando altri mezzi illeciti“. Niente di male, per gli amministratori di una grande città, ricordare ai propri cittadini l’esistenza di eventi criminosi. Solo che, nella stessa ordinanza, veniva poi fatto divieto alle ostetriche di seppellire feti o bambini morti senza prima informare il consiglio comunale: ciò non avrebbe senso se l’estensore dell’ordinanza non avesse ritenuto che esisteva una generica responsabilità delle ostetriche nei crimini commessi. Inoltre, le ostetriche che avevano l’incarico di seppellire i neonati morti dovevano trovare due o tre donne, al di sopra di ogni sospetto, che assistessero alla sepoltura e ne potessero poi dare testimonianza.

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 22

Nel 1700 le Università cominciarono a impostare l’insegnamento dell’ostetricia su basi tecniche e scientifiche e a farne addirittura materia di specializzazione medica. Nel corso del secolo furono pubblicati numerosi trattati di anatomia, fisiologia e patologia ostetrica e ginecologica, dedicati sempre più spesso ai medici: fino a quel momento i libri più letti erano stati La Commare e un testo di Michele Savonarola dedicato alle donne ferraresi e pubblicato nel 1460. Contemporaneamente cominciarono a entrare in uso nuovi strumenti, come il forcipe, il cranioclaste, il craniotribo, il craniotomo, il decollatore, l’embriotomo, nomi di per sé terrificanti e che fanno intuire per quale uso fossero stati immaginati.

A Bologna, nel 1742 venne istituita la Scuola di Chirurgia, che fu affidata a Pier Paolo Molinelli. Nel 1757 papa Benedetto XIV decise di acquisire il materiale didattico di Giovanni Antonio Galli, al quale affidò l’insegnamento dell’ostetricia presso l’istituto delle Scienze che si aprì così a un nuovo pubblico, quello delle levatrici (che però entravano da una piccola porta posteriore del palazzo, quella principale era ancora riservata agli studenti di medicina e ai professori). Galli aveva tenuto scuola di ostetricia per otto anni a casa sua utilizzando tavole di cera e modelli anatomici di argilla e aveva insegnato a medici (pochi) e ostetriche (progressivamente più numerose, avendo molte di loro fiutato il rischio che la loro professione stava correndo). Questa scuola divenne ben presto nota in tutta Europa per aver aggiunto (si diceva) alla carne per credenti – le cere votive – la carne per studenti – le cere didattiche. Galli la diresse fino al 1782, anno in cui la consegnò nelle mani del suo successore, Luigi Galvani.

Si trattò dunque di una straordinaria trasformazione, ormai inevitabile se si pensa al posto che la sacralità naturale e la religiosità sovrannaturale del nascere hanno sempre occupato nella mentalità popolare e nelle religioni. Ma per più di un secolo non si trattò di un evento fortunato e felice. La medicina ufficiale, la medicina degli uomini, non pensò mai di utilizzare l’antica e straordinaria cultura che per secoli aveva amministrato con saggezza i problemi della salute femminile e in particolare quelli delle gravidanze, ma semmai si contrappose ad essa, operando contemporaneamente per limitare i compiti delle levatrici, togliendo loro ogni autorità, coprendole di sospetti e di calunnie. L’antica cultura delle mammane, il loro sapere ereditato e raffinato da secoli di esperienza, i loro rimedi così diversi, le loro tecniche sconosciute e, soprattutto, la loro capacità di occuparsi delle altre donne con compassione e solidarietà, furono completamente ignorati. In più, l’uso maldestro di strumenti di difficile impiego fece danni straordinari: aumentò la mortalità da parto, furono estratti a pezzi bambini che avrebbero potuto nascere vivi e sani, comparvero complicazioni pressoché ignote come la febbre puerperale, la cosiddetta febbre dei dottori, che dilagò per tutta l’Europa come una peste e decimò le puerpere almeno fino alle intuizioni di Ignaz Semmelweis (ma in realtà anche oltre).

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 20

L’aggressione all’ostetrica maga e guaritrice, che conosce i  segreti della sessualità e della fertilità, che è capace di essere la confidente e la complice delle donne, è solo una parte di questo racconto: l’altra parte riguarda lo straordinario cambiamento di paradigmi che si verifica tra il XVII e il XVIII secolo, un cambiamento che comporta il passaggio da un’epoca di grande compassione e di poca o nessuna tecnica a uno di molta tecnica  e poca o nessuna compassione  e che ha a che fare in modo specifico con l’assistenza alle gravidanze e, soprattutto, ai parti.

Fino al 1700 la teoria e la pratica dell’ostetricia erano state completamente separate: la prima apparteneva  al chiuso delle accademie, dei teatri anatomici e delle biblioteche dei conventi, dove era curata da pochi appassionati senza apparentemente patire del quasi assoluto disinteresse della grande maggioranza degli studiosi; la seconda era affidata all’opera quotidiana di donne del popolo che, per tradizione famigliare, per bisogno o per vocazione avevano imparato, sempre da un’altra donna, ad assistere gravide e partorienti e ad occuparsi dei loro bambini nei primissimi giorni di vita. Nelle campagne, nei villaggi e nella maggior parte delle città c’erano dunque due forme di assistenza ai parti: la prima, la più antica, coinvolgeva un gran numero di donne, le più esperte, quelle che avevano avuto molti figli, ma anche le amiche della gestante, che creavano intorno a lei una atmosfera di solidarietà e di affettuosa compassione, un’aura genericamente sororale che dava alle partorienti forza e sicurezza. Si diceva che in quei momenti le donne si aprivano e si confidavano, certe che nessuna di quelle confidenze sarebbe mai stata tradita; si diceva che parti annunciati come difficili e pericolosi diventavano magicamente semplici e rapidi. La seconda forma di assistenza vedeva la presenza, certamente più professionale, ma non solo professionale, della levatrice, di una mammana, una donna non più giovane, quasi sempre vedova, sempre madre di molti figli, che aveva imparato il mestiere da altre donne come lei e molto spesso non aveva mai letto un libro. Era, tutto sommato, una guaritrice, padrona di un mestiere che si inseriva tra i ruoli della comunità contadina e femminile e che apparteneva a una specifica categoria – quella dei flebotomi, dei conciaossa, dei cerusici, dei venditori di rimedi – che potremmo definire come i guaritori dei poveri. Ma le levatrici avevano qualcosa che gli altri guaritori non avevano: avevano compassione per le altre donne, conoscevano le loro sofferenze ed erano pronte a rischiare molto – e si trattava di rischi personali non indifferenti – per alleviarle. Era del resto un mestiere ereditato dalle levatrici greche e romane, un mestiere che le coinvolgeva spesso in interventi che riguardavano a tutto campo la salute delle donne: la sessualità delle coppie, le arti di conservare la bellezza, la ricerca di una fertilità smarrita, i rimedi utili per di cancellare i concepimenti non pianificati, persino la capacità di intervenire nel mondo segreto degli affetti e degli amori illeciti e segreti. Oltre a conoscere l’uso delle erbe e a tramandarne i segreti, queste donne si occupavano dei neonati e sapevano riconoscere i casi in cui era giusto e opportuno negare ogni forma di assistenza. Quando era necessario, e spesso era necessario, queste donne facevano in modo che al desco di una famiglia che già moriva di fame non si aggiungesse una ulteriore bocca da sfamare; erano loro che sapevano riconoscere le donne per le quali una gravidanza avrebbe significato una sicura morte (le donne molto piccole di statura, quelle affette da rachitismo, le portatrici di bacini impervi) e garantivano loro la necessaria sterilità. Avevano due problemi da risolvere. Il primo riguardava il fatto che erano quasi sempre vecchie, in tempi nei quali essere vecchie significava quasi sempre essere brutte e le donne vecchie e brutte facevano venire in mente alla gente – soprattutto quando qualcosa, nella loro attività, era andato storto e c’era bisogno di trovare un colpevole – l’odiosa figura della strega. L’altro problema riguardava invece il frequente ricorso, nelle loro attività, a qualche sorta di rito magico, un ricorso pressoché inevitabile, considerato il modo acritico con il quale accettavano tutto il bagaglio delle istruzioni che ereditavano e che queste istruzioni giungevano loro da una cultura antichissima che con la magia e con l’occulto aveva avuto strettissimi rapporti. Del resto questi riti avevano un forte radicamento nella società, tanto che riuscirono a convivere a lungo con quelli della medicina scientifica. Lo stesso Scipione Mercuri –l’autore di un famoso teto per le ostetriche, La Commare o Riccoglitrice, del quale parlerò nelle prossime pagine – elencava, tra le possibili forme di terapia da usare nei parti distocici, anche quelle che agiscono misteriosamente e che hanno proprietà magiche e occulte. Quando la Chiesa e le Università decisero di porre fine a queste isole di potere femminile, così inaccessibili e misteriose, l’anello debole della catena di solidarietà che si era saldamente formata tra le donne fu proprio questa propensione per i riti magici ed esoterici.

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 19

In realtà, il problema della “competenza” dei medici era, tutto sommato, un colossale equivoco: il medico, l’ho già ricordato, non riceveva praticamente alcuna informazione nei suoi studi universitari in merito alle tecniche contraccettive. Sapeva invece che aborto e contraccezione violavano la morale religiosa e, spesso, anche la legge dello Stato. Questa convinzione era così forte e si radicava talmente nei medici che continuerà a persistere, fino ad epoche recentissime, un “naturale” rifiuto ad occuparsi del controllo delle nascite, considerato complessivamente immorale o pericolosamente vicino alla immoralità. È a questo medico che una parte delle donne si affidava ed è a lui che era costretta a rivolgersi quando si trovava nei guai, pur sapendo che a questi guai lui non avrebbe trovato rimedio.

Nel XVI e nel XVII secolo c’era un detto popolare, in molte parti d’Europa, secondo il quale “la mammana opera nel sangue e nel sangue annegherà”. Si era dunque fatto strada un preciso convincimento: le ostetriche usavano pozioni per regolare la fertilità, erano spesso coinvolte in aborti e infanticidi, di qui a pensare che usassero stregonerie e sortilegi poco ci correva. Si moltiplicavano in effetti i casi di donne che venivano accusate di stregoneria per aver fatto qualcosa che riguardava i bambini e soprattutto per infanticidio. La punizione per questi delitti, molti dei quali non venivano provati, era la morte per rogo o, in Inghilterra, per impiccagione. Del resto questo era il volere di Dio: “non lasciare vivere la donna maliosa” dovrebbe essere, e forse non è, una frase dell’Esodo (22:18). Sulla parola “maliosa” a dir il vero c’è una discussione. Il termine è analogo a strega, ma è possibile che in realtà il riferimento al femminile sia dovuto alla traduzione in greco dei settanta saggi. La parola greca è pharmakis, mentre la parola ebraica è měkaššēp, il cui riferimento al genere femminile sembra provato da altri contesti della Bibbia ma il cui vero significato è “avvelenatore”.

 

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 18

È fuori di dubbio il fatto che si rimproverasse alle donne di esercitare un improprio e malefico controllo sulla fertilità e che venissero punite coloro che erano depositarie – almeno in teoria – della conoscenza su come questo controllo poteva essere attuato. Accomunare queste donne alle streghe aveva un forte significato simbolico: dimostrava anzitutto che la loro opera era demoniaca, gettando così una fosca luce su tutto quello che aveva a che fare con il controllo della riproduzione e, in qualche modo, con la sessualità; tendeva ad arrestare la comunicazione tra le donne, sulla quale si era basata la sopravvivenza delle informazioni sui mezzi di controllo delle nascite da epoche antichissime.

C’è una tesi, a questo proposito che mi sembra molto interessante e che desidero proporre. La caccia alle streghe, perseguita con ostinazione per secoli, condusse a morte un grande numero di donne che avevano “speciali conoscenze” sulla vita sessuale e su quella riproduttiva. Non solo: avere quelle conoscenze, utilizzarle, trasferirle ad altre persone divenne non solo esecrabile, ma molto pericoloso: entrava in gioco la propria vita.

Ora, non vi è dubbio che sia il controllo della fertilità che la possibilità di interrompere una gravidanza iniziale fossero stati affidati, per secoli, all’uso di qualche tipo di pianta o a qualche infuso di erbe o di radici. Di questi “emmenagoghi” gli erboristi ne avevano descritti una notevole quantità, ma nei loro libri le indicazioni relative all’uso corretto e all’efficacia erano divenute sempre più evanescenti, fino a risultare incomprensibili ai più. Via via che contraccezione e aborto procurato venivano condannati in modo sempre più fermo dalla Chiesa, gli erboristi erano passati a un linguaggio sempre più criptico: in alcuni libri, ad esempio, non si diceva più che la tale erba era capace di interrompere una gravidanza, ma ci si limitava a consigliare alle donne gravide di tenersene lontane perché poteva nuocere al loro bambino. Depositarie delle informazioni perdute erano diventate le donne più anziane e le ostetriche (o, se volete, le levatrici e le mammane) alle quali le donne in difficoltà si affidavano senza paura, consapevoli di poter contare sulla loro solidarietà e sulla loro compassione. A tutte costoro erano note le erbe utili, che potevano essere trovate nei prati delle vallate, sui monti, e persino nell’orto di casa; esse sapevano da dove derivare le medicine giuste, se dai fiori, dalle foglie, dalle radici o dai rizomi, sapevano come estrarre i principi attivi, conoscevano le dosi che dovevano essere somministrate. Iniziata che fu la caccia alle ostetriche, molte di loro, spaventate e minacciate, negarono ogni collaborazione, i rischi erano troppo alti; quelle che continuarono a consigliare e a operare lo fecero quasi sempre per trarne un guadagno, l’antico dialogo tra sorelle divenne solo un ricordo. In alcuni casi il trasferimento delle conoscenze continuò all’interno delle famiglie, ma le informazioni molte volte erano scorrette e incomplete: scomparvero, ad esempio, dalla lista delle erbe utili, i nomi delle piante che crescevano fuori dall’orto di casa e aumentarono i rischi dovuti alla cattiva conoscenza dei dosaggi necessari. Molte donne non avevano i soldi per pagare le ostetriche e cercarono di arrangiarsi: crebbero i casi di “miseria genitale”, aumentò il numero di bambini morti misteriosamente subito dopo la nascita. La vita della povera gente, privata anche di questa forma semplice e naturale di solidarietà, divenne ancora più miserabile.

Da molti anni è iniziato un processo di revisione storica inteso a dimostrare che almeno gran parte del fanatismo religioso che invase l’Europa tra il Cinquecento e il Seicento non fu di matrice cattolica; secondo questi stessi storici, la leggenda nera dell’Inquisizione sarebbe solo una delle tante menzogne intese a diffamare il cattolicesimo il quale, pur partecipe di molte delle esagerazioni dei tempi, si preoccupò soprattutto di mettere a punto meccanismi giudiziari capaci di garantire gli interessi degli imputati.  A questo proposito, Giovanni Romeo, storico napoletano autore del libro “Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della controriforma”, afferma che si apre ormai “una immagine sorprendentemente nuova dei Tribunali come quelli inquisitoriali”, concetto ribadito da un laico insospettabile come Luigi Firpo. Questo tentativo di riabilitare la Sacra Inquisizione si basa anche su alcune iniziative editoriali che hanno messo a disposizione di un pubblico relativamente vasto testi fino ad oggi assai poco conosciuti, come ad esempio il Dictionnaire apologétique de la foi catholique di Jean Baptiste Guiraud, edito tra il 1913 e il 1915; rilevanti contributi in questo senso sono stati dati anche da Henry Arthur Francis Kamen, da Bartolomé Benassar e da Gustav Henningsen. L’opera più incisiva e documentata è però, almeno a parere di molti, quella di John Tedeschi (Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana, Vita e Pensiero, Milano, 1997) che intende documentare il raro ricorso alla pena di morte, lo scarso peso delle pene comminate e il limitato impiego della tortura negli interrogatori. Gli studi di Tedeschi, peraltro, dipingono una Inquisizione un po’ troppo idilliaca, tribunali umanissimi  nelle cui celle federe e lenzuola venivano cambiate due volte alla settimana e i cui carcerieri si comportavano come le maestrine delle scuole Studi sull’Inquisizione romana, Vita e Pensiero, Milano, 1997. Viene persino citato un episodio che riguarda il cardinale responsabile di una particolare detenzione il quale – si narra – volle scusarsi personalmente con il recluso per non essere riuscito a trovare, nell’intera città di Roma, la birra che costui pretendeva e arrivò a offrirgli una somma di denaro come risarcimento. Insomma, una istituzione umana e imparziale, della quale ci è giunta un’immagine deformata e travisata. Tedeschi, tra le altre cose, non ritiene che il Malleus sia stato il manuale canonico utilizzato nei processi per stregoneria (39 edizioni non sono evidentemente sufficienti a dimostrarlo) e che solo 150 anni dopo fu finalmente pubblicato un testo che interpretava le reali intenzioni e i veri sentimenti degli inquisitori (Instructio pro formandis processibus in causis strigum, sorteligiorum et maleficiorum, edito nel 1624). La lettura del libro di Tedeschi mi ha fatto nascere molte curiosità, ma mi limito a esprimere un dubbio: come mai la gente comune era così terrorizzata dalla Santa Inquisizione? Se è stata fatta confusione tra un albergo a quattro stelle, dove di cambiavano le lenzuola ogni tre giorni, e un tempio dove si celebravano solo riti ispirati alla sofferenza e alla morte (i mezzi di tortura sono visibili nei musei, e a sentire i revisionisti sono addirittura più numerosi delle persone torturate) a chi si deve attribuire una falsificazione storica di questa grandezza? Immagino che sia quasi indispensabile chiamare in causa il demonio, anche se mi sembra un’ipotesi un po’ azzardata. D’altra parte mi pare altrettanto azzardato immaginare che questi tribunali, oltre a rappresentare confortevoli salotti da utilizzare per le conservazioni tra amici, abbiano anche avuto il privilegio di ideare “agenzie giuridiche sconosciute ai tribunali laici dei tempi” (Antonio Socci, Il Sabato, 28 aprile 1990) o dichiarare che nel Medioevo “…la causa dell’ortodossia non è altro che la causa della civiltà e del progresso…” (Hemry Charles Lea, Storia dell’Inquisizione. Fondazione e Procedura. Fratelli Bocca Editori, Torino 1910). Forse dobbiamo dare nuovo rilievo alla tesi di Alonzo de Salazar Frias, l’inquisitore che non credeva nell’esistenza delle streghe e che all’inizio del XVII secolo cercò di spostare l’attenzione sui paesi protestanti, loro sì colpevoli di una intolleranza assurda e scatenata. Secondo questa tesi, che pure ha una sua credibilità, sia Calvino che Lutero avevano molta simpatia per i roghi, come è facile capire anche solo leggendo queste poche righe scritte fa Lutero:

“Le streghe sono le prostitute del diavolo, che rubano il latte, suscitano le tempeste, cavalcano caproni e scope, azzoppano e storpiano la gente, tormentano i bambini nelle culle, tramutano gli oggetti dando loro forme diverse, sicché un essere umano sembra un bue o una vacca; spingono la gente alla copula e all’immoralità e sono responsabili di molti altri orrori. Non bisogna avere alcuna compassione per queste malvagie, bisogna bruciarle tutte”.

 

Siamo in un periodo in cui le professioni mediche si stanno organizzando. Le Università laureano i medici e alcune promuovono anche una nuova professione, quella del chirurgo. In molte regioni d’Europa diventa necessario avere una licenza per esercitare una professione che abbia a che fare con la salute dei cittadini. I professionisti della salute cominciano a mettere sotto accusa gli altri, quelli che non hanno in pratica alcuna cultura, che non hanno fatto corsi di studio, non conoscono le aule delle Università. Li chiamano “rustici” o “vetulae”, vecchie. Le ostetriche vengono derise, criticate per la loro ignoranza e il loro empirismo, definite volgari e illetterate. Queste accuse hanno facile presa, il terreno è già preparato dalle accuse dell’Inquisizione, e poi le ostetriche non hanno alcuna organizzazione sociale e non riescono a trovare difensori. La loro attività tende a diventare clandestina o a piegarsi alla sola assistenza al lavoro del medico.

È difficile stabilire quante donne, soprattutto tra il XVI e il XVII secolo, continuarono ad affidarsi alle ostetriche e quante invece cominciarono a chiedere il consiglio dei medici e degli apotecari. C’era, è chiaro, un importante problema economico, il costo delle due consulenze era molto diverso, ma l’importante era che fosse stato stabilito un principio, chiarita una diversità: il medico rappresentava non solo la voce della competenza, ma anche quella della moralità e della religione; l’ostetrica, molto semplicemente, no.

Il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Parte 16

La persecuzione della stregoneria significò persecuzione delle donne, condannate al rogo in una proporzione con gli uomini con gli uomini  che in alcuni periodi è arrivata a 50 a 1. La scelta aveva una sua logica: non si condannavano solo le streghe – coloro cioè che avevano commercio con il demonio – ma anche le persone che si occupavano delle gravidanze e che erano esperte di contraccezione. Insomma, le donne.

Per capire come apparissero le donne e le ostetriche in particolare  agli occhi degli inquisitori ritorno a citare il Malleus Maleficarum:

esse hanno una sorta di perfidia che non si trova negli uomini; sono inclini alla superstizione, al commercio con il demonio; scelgono di divenire levatrici, una attività che supera tutte le altre per malvagità. Ed ecco le sette cose che le streghe possono fare: fornicare e commettere adulterio; ostacolare l’atto generativo; castrare e sterilizzare; agire bestialmente e intrattenersi in relazioni omosessuali; distruggere la fertilità delle donne; procurare aborti; offrire bambini al diavolo”.

La gente credeva che esistessero veramente le streghe e che fossero capaci di queste azioni, e questo convincimento non riguardava solo il popolo. Un grande giurista francese, Jean Bodin, che era nato ad Angers nel 1529 e che è autore di due opere fondamentali, il Methodus ad facilem historiarum cognitionem e Le six livres de la République (considerati tra i grandi classici del Rinascimento), scrisse anche una Demonomanie des Sorciers che tratta a lungo di streghe e di incantesimi. Bodin credeva ai patti di sangue con il diavolo, alla possibilità di evocare i defunti e ai rapporti carnali con i demoni e si esprimeva in favore della tortura e dell’eliminazione in massa degli stregoni. Molto altri intellettuali e studiosi, spesso noti per la loro razionalità, condividevano questo punto di vista, al quale spesso fornivano sostegno pseudoscientifico. Del resto, molti dei comportamenti che oggi attribuiamo all’isteria, sono stati in passato giudicati come prova di stregoneria, ed è più facile per le menti semplici credere all’esistenza del demonio che perdersi nella complessità dei problemi psicologici.

Erano tempi in cui la politica era inestricabilmente mescolata con la stregoneria e molte grandi famiglie europee venivano coinvolte in scandali che avevano a che fare con qualche genere di maleficio. In Inghilterra, nel 1232 un noto magistrato, Hubert de Burgh, conte di Kent, fu accusato dal Vescovo di Winchester di essersi guadagnato i favori del re Enrico III utilizzando “charms and incantations”. Nel 1324 scoppiò un terribile scandalo a Coventry dove venne quasi casualmente alla luce un complotto che vedeva coinvolti alcuni dei cittadini più ricchi e influenti: costoro avevano pagato forti somme di denaro a tale mastro John, notissimo negromante, perché, utilizzando i suoi magici poteri,  causasse la morte di Edoardo II e di molti nobili della sua corte. Non molti anni dopo, Alice Perres, l’amante di Edoardo III, dama di compagnia della regina Philippa,ebbe l’onore delle cronache quando il suo medico, considerato da tutti un potente mago, fu arrestato sotto l’accusa di aver prodotto e utilizzato filtri d’amore e talismani: naturalmente, almeno per l’opinione pubblica, divenne chiaro che la signora Perres si era conquistata i favori del vecchio re utilizzando questi sortilegi. Risale al 1590 il processo alle streghe di North Berwick, povere donne accusate di aver usato i loro poteri magici per affondare la nave che portava in Scozia Giacomo VI e la sua sposa, Anna di Danimarca. Le”streghe” furono condannate, cosa non difficile da capire se si pensa a quante persone fossero mandate a morte a quei tempi per aver scatenato tempeste e affondato navigli e a quante superstizioni affliggessero i marinai di quei tempi: cosa peculiare, il complotto delle streghe di North Berwick era finito con un clamoroso insuccesso, la nave di Giacomo VI era arrivata tranquillamente in porto, le maliarde – presumibilmente dilettanti e nuove del mestiere, in ogni caso pasticcione – ne avevano affondata un’altra. Il processo ebbe conseguenze rilevanti: Giacomo, oltre a scrivere un trattato di Demonologia, rese ancora più severe le pene previste per le streghe dal Witchcraft Act.

Questo elenco di eventi storicamente rilevanti arriva fino al 1700, e una lista di episodi molto simili può essere stilata per altri Paesi, come la Francia e l’Italia.

Era dunque una società nella quale ogni classe sociale aveva le sue streghe, più raffinate e socialmente accettabili tra i nobili, più volgari e demoniache tra la gente più povera e incolta, ma sempre streghe.