Il costume teatrale.

…Ognuno di noi indossa il proprio “costume di scena“ sul grande palcoscenico della vita”, così come fanno gli attori quando indossano i particolari abiti accuratamente disegnati dal costumista il quale cercherà di evidenziare il carattere del personaggio interpretato, attraverso la scelta della forma e del colore del tessuto…

Il costume teatrale

Il costumista è colui che disegna gli abiti di scena per uno spettacolo o un film, scegliendone lo stile, i tessuti e i colori, previo accordo con il regista e lo scenografo. Il costumista sovrintende alla realizzazione dei costumi da parte dei sarti. Spesso delinea bozzetti che vengono poi realizzati dalla sartoria ed il suo lavoro è sovente coadiuvato dall’aiuto costumista, che si occupa degli aspetti strettamente logistici e tecnici della professione. Nelle realizzazioni cinematografiche il costumista è spesso, ma non necessariamente, colui dal quale dipende anche il truccatore, con il quale instaura un rapporto teso a delineare quale stile di mascheramento del corpo il truccatore debba utilizzare per completare l’idea del costumista sul personaggio.

La sartoria teatrale è quel particolare comparto specializzato dell’industria teatrale che si occupa di realizzare i costumi per uno spettacolo, basandosi su disegni o le indicazioni del costumista. Alcuni teatri, soprattutto i più importanti, hanno una sartoria con una o più sarti. Il sarto deve avere esperienza nella scelta dei materiali e delle stoffe da usare.

costumi teatrali sono abiti, appositamente creati per la scena, che vengono indossati dagli attori in una rappresentazione. Il costume riveste una grande importanza nella storia del teatro e la sua evoluzione è strettamente intrecciata a quella del teatro stesso.

La funzione del costume teatrale dei tempi moderni è diversa da quella del teatro nell’antichità. Al tempo del teatro nell’antica Grecia o a Roma il costume era codificato da regole e cambiava a seconda del genere rappresentato (commedia o tragedia), così come cambiavano le calzature indossate. Ad esempio, nella rappresentazione di una Commedia greca gli attori indossavano quello che successivamente fu denominato in latino “pallium”, un mantello ampio e destrutturato, da cui il nome di “fabula palliata”; la commedia propria dell’antica Roma era chiamata invece “fabula togata”, perché gli attori indossavano la “toga”, il mantello romano, e scarpe basse (“socci”). La Tragedia greca o romana di argomento greco poteva anch’essa essere chiamata “palliata” , poiché il mantello indossato era uguale, ma era caratterizzata dall’uso dei “cothurni”, (calzari alti), per cui prendeva il nome di “cothurnata”. La Tragedia di argomento romano prevedeva la toga “praetexta”, bianca bordata di color porpora, come quella usata dai magistrati. Ogni costume serviva alla caratterizzazione del personaggio e doveva essere immediatamente riconoscibile: spada e clamide per i soldati, farsetto per i popolani, cappello e tabarro per i messaggeri. La maschera nella tragedia era essenziale perché nascondeva il viso dell’attore, “trasformandolo” nel personaggio rappresentato, ed evitando la sovrapposizione di individuo e personaggio.

Oggi la maschera, nel teatro di tradizione occidentale, di norma non è più usata, ma anzi si richiede all’attore di dare spessore al personaggio interpretato donandogli parte di sé stesso, ed esprimendosi con la propria mimica facciale e con lo sguardo. Oggi il costume teatrale ha una duplice funzione: caratterizzare i personaggi creando un’atmosfera particolare che richiami l’epoca nella quale l’opera teatrale si svolge, ma anche, specie nel teatro sperimentale, evidenziare aspetti simbolici connessi ai personaggi o alle situazioni. Al tempo stesso il costume serve all’attore per facilitare la sua identificazione col personaggio, specialmente per quanti si richiamano al metodo Stanislavskij.

La funzione e il significato del costume oggi è molto diversa da quella del passato. Mentre oggi si cerca per il teatro tradizionale un effetto realistico, e scuole e laboratori di costumistica eseguono accurate ricerche per ricostruire la moda dei secoli passati o per creare modelli che si ispirino ad essa, i costumi teatrali fino al 1700 circa non rispondevano a criteri di realismo o di ricerca storica; venivano spesso usati abiti del tempo anche per raffigurare personaggi del passato. Soprattutto nel XVII secolo, specificatamente per la costumistica legata al teatro lirico e agli intermezzi, si adottò il criterio di bassa attinenza storica per favorire invece l’estetica: il costume perse quasi definitivamente i connotati di sussidio all’arte teatrale per divenire sfoggio e sinonimo diricercata bellezza, raffinatezza e lusso. I cantanti lirici indossavano in scena vesti sfarzose, complicate da indossare e pesantissime: la “camminata alla francese”, considerata un vanto dei virtuosi d’oltralpe, era in realtà un poco elegante modo per liberare le gambe dal prodotto della minzione che era spesso impossibile da fare proprio per le complicate operazioni di svestimento che essa richiedeva. Nel XVIII secolo, tuttavia, sempre in Francia, l’attore Talma intraprese una ricerca filologica ed iconografica sui costumi teatrali che influenzò fortemente la storia del teatro: allontanandosi dalla mistificazione delle convenzioni teatrali settecentesche, Talma diede il via alle rappresentazioni con alle spalle una profonda conoscenza storica, adattando trucco, capigliature e vesti ai reali aspetti dell’epoca nella quale era ambientata la piéce.

Nell’Ottocento iniziò il lavoro di ricerca per rendere il costume più aderente all’epoca in cui si svolgeva l’opera teatrale, ma gli abiti di scena venivano fatti realizzare dagli attori stessi. Gli attori famosi potevano ricorrere anche a noti sarti per i loro costumi, che non obbedivano però a un criterio d’insieme, rischiando a volte un effetto disorganico sulla scena. Il dramma borghese ed il naturalismo portarono sui palchi gli abiti della vita contemporanea, alla ricerca di un’esasperata attinenza al “vero” storico e della realtà sensibile. Le avanguardie storiche e i maestri del teatro poi, in netta contrapposizione con le dottrine precedenti, spogliarono gli attori dei vestiti teatrali per rivestirli di abiti ad alto significato simbolico, espressionistico, minimalista e così via.

All’incirca dopo la seconda guerra mondiale i costumi vennero affidati a laboratori specializzati che li realizzavano per tutti gli attori seguendo le indicazioni della regia, eseguendo una vera ricerca “filologica” nel settore. Oggi, con lo stretto legame che avvicina il mondo dello spettacolo a quello dell’industria della moda, sono state sperimentate sinergie per la presentazione di spettacoli “in costume” con abiti di alta moda contemporanea, offrendo un netto contrasto con quanto rappresentato in scena. Le tendenze dei costumi teatrali nel teatro di oggi, infatti, sono le più diverse e aperte ad ogni tipo di sperimentazione, sia per fini puramente artistici ma anche per quelli commerciali.

Durante uno spettacolo teatrale ogni attore indosserà un abito, o meglio costume, che lo renderà riconoscibile rispetto agli altri e ne evidenzierà il carattere e il ruolo.

Infatti la forma e il colore dell’abito sono fondamentali…esiste una simbologia dei colori…facciamo alcuni esempi:

– il personaggio negativo in genere veste con colori scuri o nero. – la donna passionale è spesso vestita di rosso. – il personaggio puro e casto, indosserà abiti bianchi o chiarissimi

Il costume teatrale può essere realizzato seguendo più linee di pensiero, esistono tre generi differenti:

– costume storico: si può ricostruire storicamente un’epoca, riproducendo abiti così come lo erano nella data epoca, in questo caso è fondamentale una ricerca storica.

– costume contemporaneo: si può attualizzare la vicenda vestendo i personaggi con i nostri abiti quotidiani, questi possono essere rielaborati. Ad esempio : creando accostamenti inconsueti e bizzarri, dipingendoli in modo particolare, scegliendo un unico colore (tutto bianco, o nero o rosso…ecc…)

– costume fantastico: è il genere più creativo, che nasce dalla pura fantasia del costumista, pur non rinunciando a scelte stilistiche precise.

…L’evoluzione stilistica dell’abito…

L’abito nasce nelle epoche primitive con la primaria funzione di difendere l’uomo dagli agenti atmosferici (freddo, caldo,ecc…) ma anche da colpi e ferite, solo in seguito subentrerà il pudore. L’uomo inizia a vestirsi nel periodo paleolitico, ossia 8500 anni fa, nel periodo dell’era glaciale, usando le pellicce degli animali cacciati.

In un secondo tempo emerse la necessità di dare una forma più comoda è più morbida, iniziano quindi a praticare tecniche di conceria, che permettevano di cucire le pelli con aghi ricavati dalle zanne dei mammut. Inizia ad adattare la forma dell’abito alla forma del corpo, creando così i primi vestiti su misura. L’evoluzione prosegue e in alternativa alle pelli si scopre la tessitura delle fibre vegetali.

Finalmente arriviamo al V secolo a.C. con la civiltà egizia, la prima a creare abiti particolarmente raffinati e a introdurre il concetto di “moda”.

Le successive guerre distrussero ogni cosa, così si ritornò ad abiti più primitivi come le semplici tuniche drappeggiate greche e poi romane.

Dal medioevo in poi la storia dell’evoluzione del costume non avrà più limiti, anzi nasceranno forme bizzarre e fantasiose che non sempre seguiranno la linea del corpo umano, ma la altereranno o la soffocheranno come accade soprattutto nella moda femminile.

Si inventeranno strettissimi corpetti per assottigliare il punto vita, si costruiranno enormi sottogonne con gabbie in stecche di balena che obbligavano le fanciulle a stare dritte e in piedi, si paralizzavano i colli realizzando enormi colletti di pizzo chiamati “gorgere” tipiche del 1500-1600.

Arriveremo fino al 1800 per avere il confort, così come lo concepiamo ai giorni nostri.

→  Nell’immagine a sinistra si mostra un particolare momento della vestizione di una dama inglese del 1880 circa, da notare l’immensa crinolina, dopo l’invenzione dell’acciaio flessibile sostituita da un sostegno in metallo, simile a una gabbia che gonfiava la veste a forma di campana, facendo sembrare la vita delle donne estremamente sottile e facendo dondolare la gonna con movimenti aggraziati. Per una crinolina occorrevano fino a 60 metri di filo di ferro, per la gonna che veniva drappeggiata sopra i sarti dovevano calcolare circa 8 metri di stoffa. Tuttavia portare una crinolina non era solo elegante ma anche fastidioso e a volte pericoloso: ci si poteva avvicinare ad una dama solo sino ad una certa distanza (che dipendeva dall’ampiezza della gonna) e le signore potevano passare dalle porte solo lateralmente e più di un incendio fu provocato proprio da queste gonne ingombranti.

→ Nell’immagine a destra si mostra una foto della cantante francese Polaire del 1890, con il suo vitino da vespa di soli 16 centimetri di circonferenza. Sotto il corpetto riccamente decorato la vita veniva stretta da un corsetto allacciato in maniera insolitamente stretta. La posa da vincitrice, che la cantante assume nella fotografia non rivela i probabili danni che si è procurata a causa di un ideale di bellezza molto sofisticato. Il prezzo da pagare per un vitino da vespa era spesso quello degli svenimenti, causati da una limitata respirazione, di una spina dorsale deformata e di una disfunzione degli organi interni.

L’abito quindi nel tempo e nelle diverse culture passa da una funzione pratica a oggetto di moda e di comunicazione: secondo il tipo di abbigliamento si può capire l’appartenenza etnica, il sesso, il mestiere, lo stato sociale e l’appartenenza ad un gruppo. Oggi il mondo della moda domina il mercato e si propone ai nostri occhi con un’abbondanza di immagini su ogni supporto mediatico, ma un tempo tutto ciò non esisteva. Gli unici che ci hanno tramandato la moda di un tempo sono gli artisti, attraverso i loro quadri raffiguranti ritratti o scene di vita.

…Le alterazioni del corpo femminile dal 1500 al 1800…

Dopo il trattato di Cateau-Cambrésis (1559), il predominio politico della Spagna si impose su buona parte dei paesi europei, determinando anche una maggiore diffusione e omogeneità delle fogge vestimentarie attribuibili alla corte spagnola.

Le caratteristiche generali della moda iberica consistevano nel conferire alla figura, tramite l’adozione di linee rigide, un effetto di severità, dignità e compostezza molto accentuati. Nell’abbigliamento femminile, la caratteristica più significativa della moda spagnola fu quella di imporre una profonda alterazione delle linee naturali del corpo, tramite una

sovrastruttura basata su forme geometriche riconducibili a due coni contrapposti costituiti dal rigido corsetto e dalla gonna a campana irrigidita dal verdugale. La figura, tramite queste soluzioni vestimentarie opprimenti, assunse così una forte connotazione grave e solenne: dal corpo artificialmente irrigidito emergono soltanto il capo e le mani, circondati dal candore della gorgiera e dei polsini, posti in netto contrasto col colore, solitamente scuro, dell’abito.

→ Il verdugale, vertugato o verducato, in Italia detto faldiglia o faldia, inizialmente fu costituito da una struttura basata su imbottiture di stoppa poste sull’orlo dell’abito, in maniera da aumentarne l’ampiezza nel fondo.

In seguito, questa imbottitura fu sostituita da cerchi di legno, cuciti all’interno dell’abito, i quali dalla cintura, allargandosi gradatamente fino all’orlo, facevano assumere alla gonna la caratteristica forma a campana, sulla quale andava indossato l’abito. In Italia, le donne (in particolare le meretrici e le cortigiane) con la faldiglia cominciarono ad indossare i calzoni alla galeota. L’adozione di un indumento così significativo dell’abbigliamento maschile destò all’epoca grande scandalo, venne considerato un’indebita usurpazione e scatenò la promulgazione di numerose leggi suntuarie, le quali tendevano a vietarne l’uso.

Nella seconda metà del Cinquecento, in Francia la moda iberica fu interpretata in maniera originale: il verdugale spagnolo venne variato, modificandone la forma a cilindro o “a tamburo”.

– Il verdugadin à tambour aumentava la larghezza sui fianchi, ammorbidendo le spigolosità tipiche del verdugale. Il corsetto, a sua volta, pur mantenendo la caratteristica punta che terminava sotto la linea vita, divenne scollato e ornato da una collaretta in pizzo rialzata dietro la nuca a forma di ventaglio. Le maniche delle vesti femminili assunsero la caratteristica forma “a prosciutto”.

Con la regina Elisabetta, il costume inglese assunse caratteristiche di grande eccentricità. Gli abiti delle dame evidenziano le ampie dimensioni e la caratteristica forma del verdugadin à tambour. La regina indossa una veste estremamente decorata con numerosi gioielli applicati, che per la sua particolare foggia modifica pesantemente le proporzioni del corpo. Il verdugale a tam-buro, di origine francese, in questo caso,risulta ulteriormente dilatato in senso orizzontale. La figura della sovrana appare completamente immobilizzata sotto la pesantezza della veste. La foggia “a tamburo” del verdugale francese venne ulteriormente dilatata in senso orizzontale, il corpetto a cono rovesciato prolungò ulteriormente la lunghezza della punta, che giunse molto sotto la linea vita e fu dotato di una falda tondeggiante, il colletto a ventaglio fu portato a più strati sovrapposti. Con la moda elisabettiana, il corpo femminile raggiunse l’apice della mistificazione delle linee e delle proporzioni naturali.

– Nel corso del Seicento nell’abito femminile il corpetto rimase molto attillato, mentre il verdugale a campana fu sostituito dal guardinfante, un sostegno da indossare sotto la gonna, confezionato inizialmente con vimini, poi con ossa di balena. La particolarità del guardinfante, che raggiunse le massime dimensioni verso il 1630, consisteva nell’ampliare enormemente i fianchi.

Numerose documentazioni iconografiche testimoniano l’uso del guardinfante in Spagna fino al 1660 circa – epoca del matrimonio tra Luigi XIV e l’infanta di Spagna, benché nel resto d’Europa, dal terzo decennio del secolo, questo particolare accessorio fosse scomparso.

Benché la moda francese cominciasse ad esercitare la propria influenza anche nei Paesi Bassi, intorno al 1620 cominciò a delinearsi uno stile vestimentario particolare, caratterizzato da una linea morbida, che amplificava i volumi del corpo, chiamata a botte. Con la linea a botte, i volumi vennero enfatizzati dalla linea vita posta piuttosto in alto, dall’adozione di gonfie maniche, dall’impiego di imbottiture applicate sovente all’attaccatura delle maniche. La linea a botte era costituita dalla sovrapposizione di più sopravvesti, la cui ampiezza era aumentata da un rotolo di cuoio posto attorno ai fianchi; le maniche erano particolarmente gonfie, arricchite da decorazioni di nastri di seta e da una sorta di spalline semicircolari, poste all’attaccatura sulle spalle.

Il Settecento, nel costume europeo, sancì la definitiva supremazia della moda francese sia nell’abbigliamento di corte che in quello corrente. Durante l’epoca della Reggenza (1715-1730), nell’abbigliamento femminile vennero adottate sempre più le vesti conosciute sin dalla fine del XVII secolo come négligés o déshabillés.

Tra queste rientrava l’andrienne, l’abito che più di ogni altro rappresentò la moda femminile francese per quasi tutto l’arco del secolo. La principessa indossa, sotto l’abito, il guardinfante. La ricca veste ha lo scollo ovale guarnito da una bordura di merletto che sottolinea l’andamento orizzontale della scollatura. Anche l’acconciatura dell’infanta si espande orizzontalmente.

La donna indossa un abito di linea a botte, il cui punto vita, posto quasi sotto il seno, è sottolineato da una preziosa fascia di passamaneria d’oro guarnita da tre rosette.

– L’andrienne era una veste con busto piuttosto aderente, dotato di ampia scollatura e di un pannello a pieghe aperte posto su dietro, che dalle spalle scendeva fluttuante fino a terra senza aderire in vita terminando con uno strascico. L’ampiezza della parte inferiore dell’abito, inizialmente data da una sottogonna gommata e inamidata chiamata criarde, in seguito verso il 1715 fu ottenuta col panier, una struttura costituita da cerchi metallici o altro materiale, il cui ruolo era analogo a quello del guardinfante.

In origine (1715-18) l’ampiezza del panier fu di dimensioni piuttosto contenute; formato da cerchi degradanti, acquisì una forma circolare. Intorno al 1730, il panier si appiattì sul davanti, assumendo una forma quasi ovoidale definita à coude.

– Nel corso del XVIII secolo continuò a subire numerose trasformazioni; tra le varie tipologie ricordiamo quella à gueridon (ad imbuto) e quella à coupole (a cupola). Il modello già citato, chiamato à coude, costituito da due semi cupole costruite con verghe di giunco o stecche di balena tenute insieme da

fettucce e nastri, si allargava sui fianchi al punto da potervi comodamente appoggiare i gomiti. In questa versione raggiunse le massime dimensioni verso il 1770.

In un primo periodo il panier venne usato solo dall’aristocrazia, in quanto simbolo di appartenenza ad un alto rango sociale; in seguito, grazie ad un sistema di confezione che permetteva di contenerne il prezzo, fu adottato anche dalla borghesia. Molto importante è anche il Busto, che stringendo la figura in vita assottiglia la figura. Fino a tutto il settecento il busto che si utilizza ha forma conica, alto dalla vita al seno, chiuso da una stringatura nel centro dietro o (più raramente) cento avanti, e sostenuto da stecche dritte che avvicinano e spingono in alto i seni: La struttura è realizzata sovrapponendo vari strati di tessuto in cui sono inserite le stecche, ricavate dai faoni delle balene o dalle canne di palude, fino ad ottenere un oggetto estremamente rigido. Questo genere di busto è spesso dotato di spalline.

Dopo la caduta di Napoleone e con la restaurazione delle monarchie e dei governi locali in Europa, lo stile Impero, che aveva uniformato i linguaggi artistici e le mode vestimentarie dalla Francia alla Russia, venne soppiantato dal nascente Romanticismo. Le fogge d’ispirazione “all’antica” non furono più oggetto d’interesse e la profonda trasformazione operata sull’abbigliamento femminile nell’ambito della cultura neoclassica ebbe breve durata. Tra 1820-30, la verticalità della linea, la sua semplicità

strutturale, l’assenza d’elementi alteranti il corpo erano già scomparsi Le donne presero a coprirsi sempre di più, con un look notevolmente più castigato se non addirittura virginale.

Durante la Restaurazione, il ruolo femminile subì un’involuzione rispetto al periodo successivo la Rivoluzione francese e poi all’epoca napoleonica: esclusa dai grandi eventi politici e culturali del tempo, circondata da uno spirito di pruderie, la donna ritornò ad essere moglie e madre perfetta. Le nuove idee fecero sparire il busto lasciando il posto ad un abbigliamento di linea sciolta e naturale. Questo in teoria, in realtà molte donne, abituate sempre ad indossare il busto, ben difficilmente se ne separano, così nascono nuove fogge e si adattano nuove forme di busto.

Alla bellezza ideale classicheggiante, al mito della giovinezza e della freschezza, si sostituì una bellezza turbata dai tormenti dell’animo, dove pallore e fragilità divennero sinonimi di passionalità.

Nel linguaggio della moda, il fascino della sofferenza si espresse nel costringente armamentario dell’abbigliamento femminile – busto e cerchi – che impose alla donna un portamento solenne e non adatto ad una vita attiva. Il busto torna ufficialmente nel guardaroba di ogni donna negli anni venti dell’ottocento. Questo nuovo busto non ha però quasi più nulla a che fare con i modelli dei secoli precedenti, è realizzato da un unico strato di tessuto ( o raramente due), morbido, sempre bianco, ha la forma di una canotta e scende fino ai fianchi.E’ stringato sulla schiena e irrigidito da un’unica stecca, larga circa due dita e realizzata in osso o legno, spesso riccamente decorata, che può essere infilata in una tasca che percorre il busto in verticale nel centro davanti.

La stecca viene utilizzata nelle occasioni più formali e importanti, e tralasciata nella vita quotidiana. La differenza sostanziale rispetto ai busti delle epoche precedenti è che i seni non sono schiacciati l’uno contro l’altro, ma separati rispetto la loro posizione naturale.

Da sinistra a destra: Busto settecentesco, busto corto francese del periodo impero, busto degli anni venti-trenta dell’ottocento.

Questo busto rimane in voga per quasi tre decenni, poi due importanti innovazioni tecniche, ne cambiano radicalmente l’aspetto: la prima è l’introduzione degli anellini metallici a protezione dei passanti della stringa, l’altra è la possibilità di piegare le stecche usando il vapore. Il non essere più vincolati da stecche dritte permette di realizzare capi che seguono per la prima volta la linea del corpo femminile accentuando così le curve.

I nuovi passi metallici, molto più resistenti dei precedenti permettono di esercitare una forza considerevolmente maggiore. Una terza evoluzione tecnica è l’introduzione della doppia chiusura, che rende chi lo indossa in grado di allacciare il busto senza il bisogno di aiuto.

Queste evoluzioni segnano la nascita del busto ottocentesco:

Prima fila: busti degli anni sessanta e settanta dell’ottocento.

Seconda fila: busti degli anni ottanta e primi anni novanta dell’ottocento.

Terza fila: busti della fine degli anni novanta dell’ottocento.

– Le gonne, già alla fine del 1840, presero ad allargarsi progressivamente sul fondo, raggiungendo in breve dimensioni tali da rendere necessario il ricorso ad una struttura che le regges-se sollevate da terra, la crinolina, inizialmente una sottogonna confezionata con una stoffa speciale intessuta, come il nome stesso dice, di crini di cavallo. La crinolina conferiva alla donna una forma a cupola, che trovava particolare slancio sia nella lunghezza, che copriva i piedi, sia nella grazia esile del busto, rin-serrato nei corsetti balenati.

Verso la fine degli anni ‘40, la tendenza ad aumentare la larghezza della gonna rese la crinolina eccessivamente ingombrante.

crinoline imbottite di metà Ottocento

– Nel 1855-56, Madame Millet brevettò una sorta di gabbia fatta di cerchi metallici, detta cage crinoline.

Un’altra versione di tale gabbia fu quella di Auguste Person (1856), che progettò una struttura formata da cerchi uniti tra loro da dei cordoni oppure passanti entro una sottogonna di tela di cotone; un altro brevetto della crinolina, composta di sottili cerchi di acciaio ricoperti di stoffa, fu quella della casa statunitense Thompson. La linea femminile tende ad essere nascosta da fogge più austere. La vita torna al punto naturale, ma aumenta il volume della gonna e dei copricapi.

L’abito si compone di giacca e gonna in tessuto moiré. La giacca dalle lunghe falde è bordata di pizzo ed ha spalle arrotondate. L’ampiezza del tessuto della gonna è raccolta sul dietro. Dunque, già dal 1856 le donne potevano contare su gabbie leggerissime, realizzate in acciaio o alluminio che sostituirono meno pratici materiali quali il vimini e l’osso di balena. L’ampiezza delle gonne giunse alla sua massima estensione tra il 1860 e il 1865 allungandosi sul dietro in uno strascico.

Nel 1865 la crinolina aveva raggiunto i sette metri di circonferenza: sia Worth, che gli altri stilisti, intuirono che tali eccessi andavano mitigati e ridussero la proporzione della crinolina raccogliendola sul dietro con un sistema di cordoni a coulisse che formavano un drappeggio simile ad una tenda.

– Continuando a ridurre sia le dimensioni che il numero dei cerchi della crinolina, Worth ne reimpostò la struttura e nel 1867 creò la demi-crinoline, schiacciata sul davanti e con uno sviluppo dell’ampiezza sul dietro.

Crinoline e tournure a gabbia degli anni, nell’ordine, sessanta, settanta e ottanta dell’ottocento.

– Il passaggio ad una nuova linea si determinò attorno al 1870, allorché venne sostituita la mezza gabbia (demi-crinoline)da sellini di crine, “panieri” di vimini e/o di acciaio, e perfino da piccole gabbie a molle, che obbligavano la gonna a rialzarsi nella parte posteriore dell’abito. Il ridursi della crinolina segnò dunque l’avvento della tournure, cioè della linea «a sellino»: l’abbigliamento femminile tese ad accentuare sulle reni sempre in maggior misura drappeggi, volani pieghettati, nastri con grandi nodi e ogni sorta di ornamento che contribuisse sottolineare la linea falcata.

Sellini della seconda metà dell’Ottocento

– Tipica fu la gonna «a cloche» degli anni ‘80, ricca di drappeggi e falbalas e impreziosita talvolta di ricami e dalle alternanze dei tessuti impiegati. Il complicato gioco delle guarnizioni diventò strutturale nei continui contrasti materici e di superfici. L’alternarsi delle balze, delle increspature e dei drappeggi era rilevato da grandi fiocchi, che evidenziavano la linea a spostamento posteriore, accentuata dal sellino.

Le sottogonne, indossate sopra o sotto al busto, servivano a conferire volume e morbidezza alla gonna dell’abito, di solito in numero minimo di due, potevano anche essere molte di più, in particolare tra gli anni trenta e cinquanta dell’ottocento, periodo come abbiamo visto in cui il volume delle gonne tende a crescere, ed ottenuto grazie alla sovrapposizione delle sottogonne.

Da sinistra a destra, in ordine cronologico, tre sottogonne comprese fra gli anni ottanta dell’ottocento e dieci del novecento.

Nel novecento, si ha un nuovo cambiamento per quanto riguarda l’uso del busto, la moda lancia un nuovo modello in cui la stecca frontale è lunga e dritta, questo fa si che chi lo indossa sia costretto ad assumere una posizione protesa in avanti, con il seno in fuori, e il bacino spostato verso dietro (grazie appunto all’uso del sellino).

Questa posizione è della linea a “S” per la sinuosità della silhouette.

Se madre natura non era abbastanza generosa, esistevano, poi, vari tipi di imbottiture che potevano essere portate sotto gli abiti per simulare un seno o un fondoschiena più prosperoso. Queste imbottiture sono generalmente in crine di cavallo o filo metallico. Naturalmente quelle per fondoschiena hanno ragione d’essere solo dopo la scomparsa delle Tournure che mascheravano completamente la linea posteriore del corpo fino a tutti gli anni 80’.

Da sinistra a destra: un’ombottitura in crine per il seno, e un’imbottitura in rete di filo metallico da legare in vita per aumentare il fondoschiena.

Come si sedevano le dame con questi ingombranti sottogonna…

2 pensieri su “Il costume teatrale.

  1. Carissima Fiorella tu mi sbalordisci per la rappresentazione globale dell’arte costumista,dei simboli,del rapporto moda sex appeal della donna,coinvolgendo la storia con la quale si ricostruiscono le diverse epoche nel filone sociale politico e della grazia femminile.Leggere i tuoi post significa apprendere,si ricavano insegnamenti per capire i tempi trascorsi.Vi è sempre un continuum nella storia che è vita dei popoli,vita dinamica perchè mutano i fondamenti del vivere sociale Bravissima.A te ed ai tuoi familiari buone feste affettuosamente Alfredo

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  2. bellissimo articolo di approfondimento sul costume. Non si trova quasi nulla ed essendo insegnante di musica a scuola nonchè maestro collaboratore in teatro ho sempre trovato difficoltà a reperire la storia del teatro raccontabile ai ragazzi e non prendendo i nostri libri di conservatorio che sono molto approfonditi e difficili per loro.. unb grazie sentito.
    Rossana

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