Diotima di Mantinea

Il materiale che ho trovato su Diotìma a livello di interpretazione e di critica è vasto e a volte  contradditorio. Un discorso su di lei è necessariamente complesso e parte da un contesto che è necessario precisare, pur rimanendo nei limiti di un blog.
    Presenterò dunque l’argomento Diotima – perché di un argomento si tratta, ancor più che di una donna – in tre tappe progressive:
1    Diotima: nell’ Atene del V sec. a.C., una straniera parla dell’eros (presentazione dell’opera in cui è citata)
2    Diotima: donna in carne ed ossa o immaginario simbolico?
3    Diotima: il matricidio della cultura ateniese (è l’interpretazione, interessantissima, di una filosofa di oggi)

Il personaggio di Diotìma, sacerdotessa della città di Mantinea, appare soltanto in uno dei Dialoghi di Platone, ilSimposio, dove ha una posizione chiave. Per poter parlare di Diotima è necessario dunque far precedere una breve sintesi di questo Dialogo platonico.
    simposio  era un ritrovarsi tra intellettuali amici a bere vino, a conversare e filosofare fino a tarda notte. Una conversazione civilmente regolata, con un moderatore o simposiarca che selezionava l’argomento da trattare e dava un ordine alla discussione, facendo passare la parola da un invitato all’altro.

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L’opera intitolata Simposio appartiene al genere largamente usato da Platone del “dialogo narrato”: Apollodoro riferisce ad un amico quanto Aristodemo gli ha raccontato sul banchetto offerto dal poeta Agatone, nel 416 a.C.; quel banchetto era stato organizzato per festeggiare la vittoria da lui conseguita al concorso di poesia tragica delle “Grandi Dionisie”. E’ l’occasione che riunisce alcuni amici del poeta vittorioso, i quali (pur essendo personaggi realmente esistiti) rappresentano le varie forme artistiche dell’Atene del V sec.a.C. Fedro incarna quel tipo di uomo che sa provocare discorsi piuttosto che farne di propri, Pausania è un retore politico, Erissimaco rappresenta la medicina, che si ispira alla filosofia naturalistica, Aristofane rappresenta la commedia, Agatone rappresenta la tragedia. Socrate, infine, incarna la filosofia; però non parla in prima persona, ma assume il discorso della sacerdotessa Diotima.
Durante il banchetto i partecipanti pronunciano a turno un elogio in onore del dio Eros, l’Amore. Si susseguono così una serie di encomi circa le qualità e le caratteristiche di Amore, che culminano nell’intervento di Socrate; egli porta “alto” il discorso, mostrando non tanto le qualità o gli effetti di Eros, quanto la sua intima natura. Il filosofo non dice nulla di suo, ma ricorda gli incontri con la sacerdotessa Diotima e gli insegnamenti di lei. L’opera si chiude con l’improvvisa comparsa di Alcibiade (il giovane dotato ma istintivo), che fa l’elogio di Socrate, e infine l’irruzione nella sala di un gruppo di ubriachi, in un finale da commedia.
Riassumo molto brevemente solo tre dei discorsi dei partecipanti, per arrivare presto a quello che ci interessa: Socrate – Diotima.
    Teniamo presente che Platone, qui, fa rivivere il mondo greco più antico che aveva in onore l’amore omosessuale maschile, al suo tempo ormai caduto in disuso.

PAUSANIA il retore imposta il suo discorso sull’affermazione che non esiste un solo Eros, ma due: Pandemio ed Uranio. Il primo è proprio dell’essere volgare volto alla sola soddisfazione dei sensi: è questo l’Eros che amano le persone di poco valore, quelle che si rivolgono tanto alle donne quanto ai ragazzi indirizzandosi più al corpo che all’anima; il secondo invece, poichè non partecipa della natura femminile ma solo di quella maschile, è sublime e celeste, ha come fine ultimo la virtù. Specifico di questo Amore è il rapporto onesto e consapevole che si instaura tra fanciullo e adulto ai fini di un percorso educativo. Le due diverse concezioni dell’amore maschile dipendono, secondo Pausania, dalla maggiore o minore influenza dei “barbari”. [La pederastia si era diffusa nella vita soldatesca di Sparta e da qui in molte altre città greche; con la caduta di Sparta cadde anche questo costume].
ARISTOFANE il commediografo propone una storia paradossale: un tempo gli esseri umani erano doppi, di forma sferica [= la perfezione originaria] e di tre sessi: maschile (due sessi maschili), femminile (due sessi femminili) e androgino (un sesso maschile ed uno femminile); avevano dunque, in posizioni opposte, due volti, quattro braccia, quattro gambe e due apparati riproduttori. Erano dotati di una forza straordinaria e allora Zeus, temendo la loro potenza, decise di dividerli in due parti; da quel momento ogni persona si sente una metà e ricerca la sua parte mancante. [=L’amore sarebbe appunto ricerca di ciò che manca]. Cosicché  i maschi e le femmine derivati dagli antichi maschi e dalle antiche femmine ricercano la loro metà nell’amore omosessuale, mentre maschi e femmine derivati dall’androgino tendono all’amore eterosessuale.
AGATONE il tragediografo declama le qualità di Eros: egli è un dio, il più felice tra gli dei poichè è il più bello e buono; è giovanissimo, delicatissimo, leggiadro, è portatore di valori come la temperanza, la giustizia e la sapienza e rende partecipi gli uomini di tutte queste virtù.
    SOCRATE il filosofo segna una netta svolta nel discorso, perché lo porta sul piano ontologico (cioè della filosofia che si interroga sull’intima natura delle cose): è necessario chiedersi che cosa sia Eros, quale sia la sua essenza; solo così è possibile determinare qual è il vero oggetto a cui l’amore deve volgersi [con Socrate, qui, si passa dall’arte del dire (retorica e poesia) alla filosofia, come vero culmine del pensiero umano]. Le parole che egli dice però non gli appartengono, ma espongono la dottrina di una sapiente straniera, Diotima di Mantinea.
Ella aveva insegnato: chi ama, ama ciò che ancora non possiede. Quindi l’amore è per sua natura segnato dalla povertà e dalla mancanza e costituisce per ogni uomo lo slancio verso qualcosa estraneo da sè; Eros ha la figura di un povero lacero e scalzo. Non è vero che Eros ha bellezza, perchè si desidera ciò che non si possiede: Eros è desiderio di eterno possesso del Bene, che coincide con il Bello. Eros perciò non è un dio, e tuttavia neanche un mortale: è un essere intermedio, che fa da tramite.
Se l’amore è brama di possedere il Bene per sempre, assieme al bene si desidera anche l’immortalità e l’amore è anche amore di immortalità. Per i mortali, l’unico mezzo per ottenerla è la procreazione e la generazione nel bello, sia nel corpo che nell’anima. La bellezza ha il potere di rasserenare quell’essere già in sé “gravido”, che le si accosta.
Diotima delinea un itinerario iniziatico* attraverso vari  gradi, che portano dall’apprezzamento delle bellezze terrene alla visione del Bello in sè.
La prima fase dell’ascesa al bello è l’amore rivolto a un bel corpo, e nella persona bella prescelta si generano bei discorsi. Il passo ulteriore viene dalla riflessione che la bellezza di un corpo amato è sorella di quella di molti altri corpi, e che la bellezza ravvisata in un singolo corpo è identica a quella che è in tutti i corpi, attraverso un procedimento di astrazione che porta dal particolare verso l’universale: in questo secondo stadio le realtà sensibili partecipano dell’unica ed assoluta idea di Bellezza. Si procede poi considerando la bellezza delle anime, superiore a quella dei corpi. Al terzo stadio, che si stacca dal modello educativo pederastico, si arriva a contemplare la bellezza nelle istituzioni e nelle leggi, implicando anche un’azione educativa a livello morale e politico. Il quarto gradino prevede il passaggio alla scienza e segna il definitivo distacco dalle realtà terrene e sensibili.
Chi ha seguito questo percorso è in grado di volgere lo sguardo al “grande mare del Bello”: siamo giunti alla tappa finale dell’ascesa, alla contemplazione della Verità che consiste nell’idea del Bello in sé. Il quale non nasce e non muore, è sempre  se stesso in un’unica forma, a cui tutte le cose belle partecipano.
L’ascesa intellettuale è presentata con la terminologia propria dell’iniziazione misterica*.
A questo punto compare ALCIBIADE, ubriaco, che fa l’elogio di Socrate. Il vecchio filosofo ha il torto di non essersi lasciato sedurre dalla sua bellezza e giovinezza. Alcibiade ci ha provato e riprovato, si sente deluso. Nell’amore di Alcibiade è insita una certa tragicità: egli ama Socrate, ma allo stesso tempo lo avverte come propria coscienza accusatrice (solo vicino a Socrate lui prova vergogna). Ammira la sua grandezza morale, avrebbe voluto diventare suo discepolo, ma la propria natura non è in grado di autodominarsi. [Alcibiade rappresenta l’uomo istintivo, che è attirato dalla filosofia ma è troppo impulsivo per  potervi accedere]. Il suo discorso di elogio a Socrate si allinea con i precedenti che erano rivolti ad Eros, quasi a dire che il vero Eros è il filosofo, o meglio la filosofia.
Mentre i convitati ridono e discutono sull’accaduto, un gruppo di ubriachi fa irruzione nella sala travolgendo tutti nella confusione, in un finale sapientemente comico, che decanta la tragicità [=la poesia ha ancora una sua grande funzione].
(continua)

* iniziazione: accesso ad una conoscenza riservata a pochi, che viene rivelata per gradi, in un cammino detto appunto “di iniziazione”. Mentre la religione ufficiale nel mondo greco era obbligo di tutti ed aveva una funzione civile-politica, diverse religioni misteriche, a cui si accedeva dopo iniziazione,  presentavano un rapporto con la divinità di tipo personale-affettivo; generalmente erano in mano a sacerdotesse, nei santuari. 

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