Storia del costume. Il Medioevo.

Le origini

Il costume dell’alto medioevo deriva dai più antichi costumi di origine gallica o nel sud, con ascendenze prettamente romane, mentre nel grande nord si fanno sentire gli influssi del rude e praticissimo vestire dei popoli barbari che si affacciarono alla storia medievale. E’ tra il 1180 e il 1340 che il costume medievale presentò la sua maggiore bellezza, dovuta alla semplicità delle forme, al loro perfetto adattamento alla forma del corpo, e alla materia usata: stoffe d’ogni genere, spesse o fini, giocandovi molto e con ottimo gusto sulle pieghe ricadenti e sui plissès molto sobri. Gli uomini adottarono gli abiti lunghi, a imitazione delle donne, con grande scandalo della Chiesa, che giudicava tale innovazione sconveniente ed effimera. Inoltre abbandonarono i capelli corti e viso glabro per lasciarsi crescere la barba e capelli, arriciati con il ferro.

I due sessi indossavano tuniche e mantelli lunghi fino a terra; le maniche era allungate e allargate fino a coprire le mani; si portavano calzature stravaganti con punte immense e ricurve. A tutti i livelli si diffuse il gusto degli accessori, dei tessuti morbidi e setosi, dei colori vivaci. La ricercatezza nell’abbigliamento divenne una preoccupazione costante per la nobiltà nonostante le invettive dei predicatori che vedevano in essa un eccessivo attaccamento alle cose del secolo e una frivolezza simile alla scostumatezza. L’adozione generale di un medesimo tipo di abito ampio, fluttuante, e lungo rispondeva a diverse esigenze: coprire tutto il corpo per il pudore e per il rispetto dei tabù sessuali, e assicurare una protezione generale contro gli accidenti climatici.

All’antichità, bianca e nuda, perciò si è opposto il Medioevo, guantato, impellicciato e cupo, su cui l’influenza del Cristianesimo è più considerevole di quella della tradizione germanica. Inoltre non vi erano abiti stagionali e si indossava lo stesso vestito d’estate come d’inverno; si sovrapponevano, d’inverno parecchi capi di vestiario, e anche se i più intimi non erano molto attillati gli strati d’aria che li separavano erano ottimi isolanti.

L’importanza sociale e civile dell’abbigliamento

Non ci sono abiti diversi per le varie età della vita: se si eccettuano i neonati, solidamente impacchettati in fasce da cui emergeva solo il viso, tutti i bambini erano vestiti come gli adulti. Verso la metà del secolo XIII si produce un altro cambiamento importante: la sparizione della tunica e la comparsa della sopravveste, una specie di lunga casacca senza maniche che si sovrapponeva alla veste o alla cotta.

E’ una trasformazione che comporta la differenziazione progressiva delle mode maschili e femminili: per le donne quella degli abiti molto attillati, del seno alto e minuto, dei capelli nascosti; per gli uomini quella del volto rasato e dei capelli corti, con la frangia, sapientemente ondulati sulle tempie e rialzati a cercine sulla nuca. E’ un inizio di distinzione sociale e professionale, in base alla forma e non più al materiale degli abiti, a cui corrisponde ad un profondo mutamento di mentalità. Questa veste molto elaborata, assume in pieno le altre sue funzioni, quella di ornare il corpo, di distinguere l’individuo che la porta: forma, colore, accessori, materiali assumono senza posa sfumature diverse.

La ricchezza o la classe sociale devono saltare agli occhi, per questo il vestito si accompagna ai gioielli dai metalli rari e lucenti, dalle pietre scintillanti e multicolori, dalle forme elaborate, di cui dispone un’elite molto gerarchizzata. L’importanza sociale e civile dell’abbigliamento è attestata dal gran numero di attività che ad esso si collegano e dall’estrema varietà di tessuti. La loro fabbricazione era spesso di pertinenza femminile: la donna del contadino raccoglieva il lino, tosava le pecore, cardava e tingeva la lana, quella del cavaliere passava tutto il suo tempo libero a filare, tessere e ricamare.

Le stoffe di lino e canapa erano le più comuni e comprendevano le finissime tele di lino con cui si cucivano camice e lenzuola; i tessuti di canapa molto resistenti utilizzati per le fodere e gli abiti da lavoro; il fustagno, un tessuto misto di lino e cotone che serviva sia per gli abiti che per l’arredamento. Le stoffe potevano essere a tinta unita, a più colori mescolati, a disegni di fiori e fronde, disseminate di pois, o variamente rigate. Questa moltitudine di varietà si ritrovava a maggior ragione nelle sete, nei damaschi e nei broccati importati dall’Oriente, dall’Egitto e dalla Sicilia, il cui consumo in Europa aumenta notevolmente nel corso del XII secolo.

La moda delle pellicce fu legata allo sviluppo del commercio. Le più lussuose provenivano dalla Siberia, dall’Armenia, dalla Norvegia e dalla Germania: martora, castoro, zibellino, orso, ermellino e vaio. Le pelli provenienti dalla fauna locale (lontra, volpe, lepre, coniglio, faina, agnello) erano meno apprezzate: si cucivano all’interno delle maniche o fra le due stoffe dei soprabiti imbottiti. Le più correnti, come il coniglio, venivano tinte di rosso e usate per decorare i polsi e l’orlo inferiore delle tuniche.

Le esigenze cromatiche

La moda, infatti, aveva le sue precise esigenze cromatiche: la scelta dei colori era sempre guidata da considerazioni gerarchiche. Il più apprezzato era il rosso di cui si sapevano creare infinite sfumature con coloranti vegetali o animali. Le successive preferenze andavano al bianco e al verde, mentre il grigio e il marrone venivano usati perlopiù per gli abiti del popolo.

Il medioevo ha, dunque, un senso del colore più sviluppato dell’antichità e dell’epoca moderna, e ne giudica i pregi in base al grado di luminosità. I colori che emanano più luce sono i più apprezzati, mentre si scartano quelli che, per carenza di conoscenze non si riesce a rendere luminosi.

Naturalmente i nobili erano coloro che potevano sfoggiare gli abiti più sfarzosi e preziosi, ed è proprio contro questo abuso di lusso che a Bologna nel 1401 lo Statuto suntuario impose precise limitazioni al lusso degli abiti e prescrisse di far bollare le vesti, precedentemente confezionate, che esulassero dalle nuove norme statuarie.

L’abbigliamento maschile

” ….Dopo il pranzo, il conte va dunque nella camera e mentre gli viene preparato il suo frutto si sveste per grattarsi meglio. Si toglie tutte le vesti, tranne le brache. Aélis, la giovinetta più bella gli toglie addirittura la camicia e gli fa infilare la sopravveste d’inverno perchè è freddoloso….”

Tratto da L’Escoufle di Jean Renart, romanzo d’avventura composto intorno al 1200

Fino alla metà del trecento i nobili impiegavano di preferenza le stoffe rare e preziose, i pesanti panni di lana lavorati in Fiandra o pettinati a Firenze sontuosamente tinti e rifiniti dall’arte di Calimala, le sete provenienti da Cipro, da Damasco, da Lucca il tutto ravvivato da colori vivi che il progresso dell’arte dei tintori permetteva di ottenere in una infinità di sfumature. Facevano uso di pellicce pregiate e costose che in Occidente ormai si trovavano poco: lo scoiattolo cangiante, cui alternarsi di dorsi grigi e di ventri bianchi costituiva il vaio; l’ermellino, la cui bianchezza era sottolineata dalle macchiettature nere che formano l’estremità della sua coda; l’agnello molto giovane dal pelo fine come l’astrakan; lo zibellino, molto scuro, la pelliccia più care e più prestigiosa, quella che col suo nome medievale “sable” indica, in araldica, il più nero degli smalti.

Dopo la metà del Trecento, il nobile, pur mantenendosi fedele a qualche materiale come il vaio e l’ermellino, che il commercio ora forniva a basso costo, dettava la moda o la seguiva. A prima vista si poteva distinguere il bisognoso, il campagnolo, nel suo vestito fuori moda, e il nobile, sulla cresta dell’onda, fortunato, con relazioni. Quando si vestiva, il signore infilava successivamente le braghe, la camicia, le calze, le scarpe, la veste la sopravveste.

Le brache erano il solo capo d’abbigliamento riservato esclusivamente all’uomo. Si trattava di calzoni di tela sottile lunghi fino alle caviglie e che potevano essere stretti, a sbuffo o pieghettati. L’uso di tingerle di rosso scomparve nel XII secolo, allorché si diffuse la moda delle brache di cuoio o di seta. Erano strette in vita da una cintura di tessuto o di cuoio alla quale si appendevano la borsa, le chiavi e talvolta delle specie di giarrettiere che sorreggevano le calze. Queste ultime, in genere lunghe a metà coscia, morbide, aderenti alla gamba, potevano essere di tela, di maglia di lana, e anche di seta. Erano di colore scuro , tranne quelle da cerimonia, che avevano righe orizzontali di colore contrastante.

La camicia, che si indossava sotto la veste, era una sorta di tunica chiusa in lato e aperta in basso davanti e dietro, lunga fino a metà polpaccio e quindi ricadente sopra le brache e le calze, con le maniche ristrette sui polsi. Bianche, di lino o di seta, le camice più belle avevano i polsi e il colletto ricamati e la pettorina goffrata. D’inverno, fra la camicia e la veste si infilava una specie di lungo panciotto senza maniche, un capo di lusso, caldo e comodo, costituito da una pelliccia cucita fra le due stoffe.

La tunica, veste aristocratica per eccellenza, era un abito di lana o di seta dall’ampia scollatura, che si infilava dalla testa. Le maniche erano semilunghe e molto larghe e la gonna, ampia, pieghettata e aperta davanti e dietro, arrivava fino ai piedi. Era chiusa in vita da una cintura su cui ricade morbidamente.

Anche il mantello era un indumento riservato ai nobili, che poteva essere di varie fogge. La più diffusa era quasi a ruota, di mezza lunghezza e senza maniche. In genere era di tessuto pesante foderato di pelliccia, ricamato e adorno di frange; aveva un apertura laterale e si chiudeva sulla spalla destra per mezzo di un fermaglio o di un legaccio.

Nonostante la loro diversità, le calzature potevano venire raggruppate in due categorie: scarpe e stivaletti. Le prime in stoffa o pelle, avevano la forma delle attuali pantofole e si portavano in casa o infilate negli stivali. I secondi, di cuoio spesso, simile alle calzature di sci, si chiudevano alla caviglia con un gran numero di stringhe e asole. Gli uomini davano molta importanza all’eleganza delle calzature, ed era in questo campo che la moda era più insolita e capricciosa.

L’estetica privilegiava i piedi piccoli per i quali si prediligevano scarpe con ricami e intarsi di cuoio e accessori di gran lusso. Anche i copricapo variavano all’infinito: il berretto di lana o tela, simile alle attuali cuffie da bagno, ricoperto di un pesante berretto floscio, conico, con l’estremità ripiegata, o quadrato e munito di paraorecchi per l’nverno; una calottina di cotone o da un cappello di feltro a larghe falde abbassate, per l’estate. Nei giorni di festa si indossava un grande cappello di tessuto prezioso ricamato in rilievo con perle, fiori o piume di pavone.

L’ultimo capo d’abbigliamento era costituito dai guanti, di cui tutti facevano grande uso. Erano di maglia di lana, di pelle o di pelliccia. Molto aderenti alla mano, si allargavano verso i polsi e coprivano di solito buona parte dell’avambraccio. Era un capo di vestiario che si offriva spesso in dono e che possedeva un grande valore simbolico: consegnare il proprio guanto al signore era un segno di omaggio, gettarlo un segno di sfida.

Si tolglievano per entrare in chiesa o per stringere la mano a qualcuno. Infine, l’abbigliamento per uscire di casa o per viaggio era adattato allle necessità di spostamenti che dovevano tener conto dello stato delle vie e dellle intemperie. Per i viaggi sotto la pioggia, era in uso la chape à aigue, cappa per l’acqua, indumento impermiabile ottenuto ritagliando la cappa in spesso tessuto di lana fortemente pressata e non sottoposta al consueto trattamento di sgrassatura, che favoriva lo scorrimento dell’acqua sulla sua superficie.

L’abbigliamento femminile

“…..Quando la contessa e le sue dame si sono sedute intorno al fuoco, mostra grandi qualità di cortesia. Con il suo atteggiamento amabile e gioioso affascina tutti i presenti.Ha un soprabito di vaio nuovo, aperto e senza maniche, che lascia scorgere le graziosemaniche bianche della sua camicia…..”

Tratto da L’Escoufle di Jean Renart, romanzo d’avventura composto intorno al 1200

La maggior parte dei capi che compongono l’abbigliamento femminile non differivano, per natura e per taglio da quelli portati dagli uomini. Tuttavia, si osservava una gran varietà di stoffe e di colori e ricchezza di ornamenti e di accessori. Le donne non indossavano le brache ma talvolta si cingevano il petto con un velo di mussolina a mo’ di reggiseno.

La tunica poteva essere di due tipi: quella normale era una semplice veste lunga fino a metà polpaccio, mentre quella composta, comparsa verso il 1180, comprendeva un corsetto aderente, una larga fascia che sottolineava la vita e una gonna lunga aperta su entrambi i fianchi. Tale indumento slanciava la figura e disegnava la forma dei fianchi, del ventre e del dorso. Lo scollo era sempre ampio e rotondo, le maniche lunghe e svasate a partire dal gomito. Le tuniche più belle erano di sciaminto, col corpetto goffrato, la gonna pieghettata sul fondo, adorne di ricami e di galloni.

L’eleganza imponeva che la donna completasse la tunica o la veste con un’amplissima cintura, di cuoio intrecciato, di seta o di lino, sapientemente allacciata. Si effettuava un primo giro all’altezza della vita, un nodo sui reni, poi un secondo giro all’altezza dei fianchi, un nuovo nodo all’altezza del bacino ed infine si lasciavano cadere le estremità in due bande uguali fino a terra.

Le calze erano simili a quelle degli uomini ma sempre sorrette da giarrettiere, perché non potevano essere agganciate alla cintura delle brache.

Le scarpe erano di vario tipo: alte o basse, chiuse o aperte, con o senza linguetta, di cuoio, di feltro, di tessuto, foderate di pelliccia. La moda prediligeva i piedini minuscoli, i tacchi abbastanza alti, il passo ondeggiante e accuratamente studiato. Il mantello (surcot) femminile era una pellegrina semicircolare che non veniva chiusa sulla spalla come quella degli uomini ma sul petto, con alamari e lacci alla cui confezione si dedicava sempre molta cura.

A partire dal XII secolo i mantelli vennnero chiusi con doppi bottoni che si infilavano in due occhielli, e potevano essere sferici, piatti, di cuoio o di tessuto, d’osso, di corno, d’avorio o di metallo. Il mantello si prestava ad una grande varietà di invenzioni quanto alla forma, alla lunghezza, alla decorazione, alla materia usata.

La pettinatura variava secondo l’età: le fanciulle e le donne più giovani li portavano con la scriminatura al centro e due trecce che scendevano sul petto, talvolta lunghe fino alle ginocchia, o ulteriormente allungate da pendenti appesi a ciascuna estremità. Dopo il 1200 la moda delle lunghissime trecce tende a scomparire per lasciare il posto a capelli più corti tenuti fermi da un cerchietto e lasciati fluttuare sulle spalle. Prima di uscire di casa o di entrare in chiesa ci si copriva la testa con un velo di mussolina di lino o di seta. Le donne adulte portavano una grossa crocchia avvolta in una specie di foulard annodato e sormontato da una banda che cingeva la testa orizzontalmente.

Le vedove e le suore portavano il soggolo, ampio copricapo di tessuto leggero che nascondeva completamente i capelli, le tempie, il collo e la parte superiore del busto. La cura dell’abbigliamento risulta anche dall’esistenza di una primitiva pratica di estetica corporale: quando alcune donne ritenevano di non avere bei seni tondi e solidi, rinforzavano la parte alta della camicia di seta, introducendovi apposite, e ben confezionate, palle di lana, ottenendo effetti piacevoli.

Il menestrello Marcabru ricorda, in un suo lied, questi effetti “en forme de pommes d’oranges” (pomi d’arancio gentile allussione, e anche profumata.

Gli ecclesiastici

In una vita quotidiana assillata dalla paura del peccato, dall’obbligo di pregare, di comunicarsi, di confessarsi, l’intermediario imposto tra Dio e gli uomini aveva il primo posto in dignità. Non tutti i chierici avevano la medesima funzione, la medesima importanza, li medesimo rango; la loro azione poteva esercitarsi in tutti i campi: intellettuale, spirituale, e anche materiale. Ciò che li distingueva era, perciò anche l’abito. Coloro che rinunciavano al mondo per servire Dio, professavano i voti di conversione, stabilità e obbedienza; vivevano nel silenzio e nell’austerità; si dedicavano esclusivamente alla preghiera e al lavoro interno e dei campi.

Di conseguenza il loro abito era semplice ma funzionale: scarpe e calze, due cocolle e due tuniche leggere per l’estate; lo stesso, in tessuti pesanti, per la stagione fredda. Le più alte cariche della Chiesa, al contrario, vivevano nell’agiatezza e avevano numerosi poteri sia spirituali che materiali. Il vescovo, personaggio fondamentale della gerarchia ecclesiastica, era a capo della cattedrale della città, gestiva tutte le parrocchie, ottenendo una dotazione fondiaria considerevole,e dispondo di numerosi poteri di autorità, giurisdizione e amministrazione su tutti i cristiani della sua diocesi.

Il cardinale, era il vero principe della Chiesa, circondato da una casa civile o militare e da una piccola corte. Tutti questi signori ecclesiastici facevano mostra di un lusso che il loro stato non avrebbe potuto permettere: una grande scorta, vestita riccamente, su cavalli di razza; vesti di stoffe rare dai colori vivaci e costosi (rosso e violetto) per quando si mostravano in pubblico; quardaroba da casa anche più variato e sontuoso.

BIBLIOGRAFIA
La vita quotidiana ai tempi dei cavalieri della tavola rotonda – Michel Pastoureau, BUR 1990
La vita quotidiana nel Medieovo – Robert Delort, Editori Laterza 1989
L’uomo del Medio Evo – Fernando Vittorino Joannes, Editoriale Domus

8 pensieri su “Storia del costume. Il Medioevo.

  1. “L’abito non fa il monaco”…
    E’ proprio il caso di dirlo…
    Siamo finalmente giunti nel momento, tanto atteso, in cui sarà rivelato (apocalisse) il vero messaggio che si nascondeva dietro le tante vesti (religioni) …

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